La riforma scolastica varata dal Ministro dell'Istruzione e del Merito è in linea con l'idea che "l'umiliazione è un fattore di crescita", la frase con cui il Ministro Giuseppe Valditara si presentò per la prima volta al grande pubblico. La ricorderete. Poi fece mezzo passo indietro, poi oggi ne ha fatti due in avanti, confermando la scelta dell'umiliazione di chi sbaglia, ma anche di chi semplicemente sceglie di criticare le scelte fatte sulla sua pelle di studente, magari occupando la scuola.
Il disegno ideologico a cui si rifanno le nuove norme della riforma scolastica parte da lontano, sono più o meno due anni di Governo. Parafrasando un po':
prima vietarono la cannabis light, e non dissi niente perché "io tanto non fumo".
Poi vennero a prendere quelli che manifestavano contro il clima, e non dissi niente perché "dai, lo vedi che sono distesi in mezzo a una strada?"
Poi tolsero agli studenti e alle studentesse la possibilità di protestare, e in tanti continuarono a non dire niente perché "anche ai miei tempi il voto di condotta contava!"
Se oggi non vogliamo essere quell'Io, dobbiamo raccontare bene quello che sta accadendo.
I fatti contenuti nella riforma scolastica hanno rispettato le premesse: l'istruzione conterà meno della condotta, che – altra questione molto grave – resterà un metro di valutazione del tutto arbitrario, un campo senza indicazioni, una sperimentazione del collegio docenti dettata dalle personali sensibilità (o insensibilità); ottimo soprattutto, il voto di condotta, per reprimere il dissenso, non certamente il bullismo o quegli studenti (pochi) che prendono a schiaffi gli insegnanti. L'insufficienza in condotta sarà infatti motivo sufficiente per la bocciatura, al di là dei risultati raggiunti in tutte le altre materie. Non immaginatevi però lo studente che ogni giorno entra in classe e sputa in faccia ai professori, o defaca sulla cattedra tre volte a settimana. Questi casi, nella sostanza, non esistono. "I dati italiani sono tra i migliori in assoluto, non esiste nessuna emergenza", come ricorda il pedagogista Daniele Novara.
I casi limite, penso dunque alle aggressioni, sono in ogni caso già punibili con la sospensione fino a 15 giorni, prolungabile in caso di reati. Perciò la bocciatura è nei fatti già prevista, perché l'assenza massima consentita è di 50 giorni all'anno. E comunque, ripetiamolo: quelli sono "casi studio" che nella realtà non si pongono. Molto più facile, ovvio, scontato, che il voto in condotta diventi invece lo strumento per reprimere comportamenti giudicati arbitrariamente non consoni: che riguardino il vestiario di una studentessa o di uno studente, ad esempio. Magari un abbigliamento dark, oppure emo, viene considerato inappropriato dall'autorità scolastica e sanzionato in quanto "comportamento sbagliato". Oppure un attivismo malvisto, ad esempio per i promotori di uno sciopero scolastico o di una petizione nei confronti della presidenza. La verità è che vincolare il voto in condotta al passaggio scolastico conferisce un'arma senza sicura a chi ogni giorno dovrebbe decidere il meglio per il futuro di coloro ai quali è chiamato a trasmettere pensiero e nozioni.
Non solo: il voto in condotta diventa fondamentale anche per vedersi attribuito il punteggio più alto al momento del diploma. Con un voto inferiore a nove, semplicemente, non ci si potrà diplomare con il massimo dei voti.
Non sono le sole novità introdotte dal Ministro. La Camera dei Deputati ha approvato anche il ripristino della valutazione numerica alle scuole medie e superiori. Significa che il giudizio non dovrà più essere articolato, spiegato, illustrato, motivato. Tutto cancellato. Sarà sufficiente una parola, un numero. Eppure nessuna persona è un numero, fuorché a scuola, evidentemente qui si può essere anche soltanto un numerino. A scuola si può essere meno di un giudizio sintetico: un numero finale. Il messaggio è questo.
Io non credo che gli insegnanti e le insegnanti si piegheranno all'estromissione della parola dal contesto valutativo, ma certamente non potranno più utilizzarla – scritta – nel rapporto finale con lo studente e la sua famiglia.
Quelle frasi di spiegazione, a metà quadrimestre, servivano proprio per considerare la persona al di là del segno che ne caratterizzava la media dei voti; quelle parole in più servivano per motivare magari proprio un giudizio numerico negativo, per dare qualche volta una parola di conforto al di là del numero, che comunque già era previsto a partire dalla scuola media. Quelle parole del corpo docente, quando erano ponderate, servivano per aprire un'aspettativa nel secondo quadrimestre, come fosse la redazione di un patto fra insegnante e persona che è chiamata ad apprendere. Si circostanziava il segno grafico numerico, si diceva che quel numero non era un tatuaggio, si lasciava aperta una porta.
E quelle parole potevano servire anche ai genitori – a me genitore erano servite, caso personale ma non unico – per leggere tra le righe, per capire un pezzetto in più piuttosto che un pezzetto in meno rispetto alle mie figlie.
Facciamo un passo indietro: il voto in condotta tornerà a valere più dell'apprendimento, senza indicazione del modo in cui sarà formulato, e in base a quali comportamenti. Il potere illimitato conferito al voto in condotta trasforma così la punta delle penne del corpo docente in manganelli. Attenzione: non trasformerà gli insegnanti e le insegnanti, però li armerà di uno strumento sproporzionato e del tutto inadatto a garantire lo svolgimento del loro lavoro in modo sereno ed efficace. E ce ne sarebbe invece un grande bisogno.
“Il voto in condotta è inutile e dannoso. Gli errori devono far crescere, non essere motivo di una condanna”, conferma anche il pedagogista Daniele Novara.
Il voto in condotta potrà essere usato, ad esempio, contro gli studenti e le studentesse che scioperano o che occupano la scuola, che lo facciano contro i riscaldamenti che non funzionano o contro le derive del Governo, di destra o di sinistra che sia. Lo ha detto anche il leghista Rossano Sasso durante la dichiarazione di voto della Lega: "Chi occupa merita il 5 in condotta e la bocciatura".
Personalmente sono cresciuto emozionalmente più con le (sporadicissime) occupazioni che con l'apprendimento della stenografia, per dire. E con me, le mie compagne e i miei compagni. Occupare la scuola, protestare, è una forma di rivendicazione, ma anche la prima vera organizzazione sociale, in forma collettiva, della propria vita. Ci si rapporta con gli altri e si impara ad essere minoranza. Venire bocciati per un momento di apprendimento, non è la scuola che personalmente ho in mente.
Il voto in condotta, con un peso così sproporzionato rispetto all'andamento scolastico, diventerà un mezzo di ricatto contro chi vorrebbe autogestire la scuola, succede spessissimo soprattutto nei licei: una settimana di incontri formativi, spesso concordati con la presidenza e l'intero corpo docente, invitando esperti esterni. Come giornalista ho partecipato tante volte a tante autogestioni, con incontri di formazione sul giornalismo e il valore delle parole nella narrazione dei fatti. Anche qui: è un esempio personale, ma non è unico.
Per il Ministero le nuove disposizioni garantiranno un ambiente scolastico più sicuro e rispettoso. Eppure non è mai esistito che l'aumento della repressione, in un ambiente di formazione, abbia coinciso con il miglioramento né dei comportamenti né delle abilità acquisite.
In punta di penna si dà la possibilità di tenere un tonfa puntato sulla psiche delle giovani generazioni. Un ricatto a portata di segno grafico. Si insegna loro che è meglio obbedire, a prescindere dal merito delle questioni. Si avvalora l'obbedienza dettata dalla paura delle conseguenze, ma questo non significa più insegnare. Con il voto di condotta dato secondo sentimento, e con la funzione della bocciatura a portata di mano, si estende soltanto il potere di limitare, di tenere a bada, di contenere. Come nei manicomi vecchio stampo, stessa lingua. Non siamo ancora a quel punto, ma stanno accendendo i lumini lungo la strada.