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Opinioni

Perché il voto che salva Salvini dal processo sul caso Diciotti è una pagina nera del Parlamento

Il caso Diciotti è l’ennesima dimostrazione di un clima mutato, di una narrazione tossica che si è imposta come “realtà”. Siamo al punto in cui l’arrivo di qualche centinaio di disperati sulle nostre coste è percepito come un attacco alla patria da cui occorre “difendersi”. Una narrazione cinica e violenta su cui i senatori non si fanno scrupolo di metterci la faccia. Come nel 2011, quando i deputati votarono sulla nipote di Mubarak…
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Il 5 aprile 2011, 314 deputati di Lega, Popolo delle Libertà e Responsabili votarono convintamente per sollevare davanti alla Corte Costituzionale un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato sul processo Ruby. La richiesta si basava sulla tesi secondo cui Berlusconi credesse seriamente che Ruby fosse la nipote di Mubarak, la notte del 27 maggio 2010, quando telefonò in Questura e poi mandò Nicole Minetti a prenderla. In sostanza, 314 deputati appoggiarono la ricostruzione fatta da Maurizio Paniz: “Egli ha telefonato senza esercitare pressioni di sorta, per chiedere una informazione nella convinzione, vera o sbagliata che fosse, che Kharima El Mahroug fosse parente di un Presidente di Stato. E lo sapete meglio di me che la tutela dei rapporti internazionali passa anche attraverso telefonate come questa”.

Il 20 marzo del 2018 il Senato vota per il no all’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro dell’Interno Matteo Salvini, per il reato di sequestro di persona in relazione al caso Diciotti. La tesi difensiva verte sull’idea che il ministro abbia agito per tutelare l’interesse nazionale, con una scelta politica insindacabile, condivisa anche dal Presidente del Consiglio e dal ministro dei Trasporti. Salvini, chiedendo di votare contro la richiesta dei giudici spiega di aver agito “per difendere l’Italia e i suoi figli”. In sostanza, dunque, i senatori del Movimento 5 Stelle, della Lega, di Fratelli d’Italia, di Forza Italia e del gruppo Autonomie, mettono nero su bianco che la "difesa degli italiani e dei nostri figli" passa per il sequestro di 177 naufraghi su una nave della Guardia Costiera italiana, a pochi metri di distanza dal suolo italiano. Al di là della legittima decisione dei senatori, a rendere nerissima questa giornata per le istituzioni italiane è l'aver dato per assodato che privare della libertà 177 naufraghi possa costituire una opzione politica, una mossa per "difendere gli italiani".

Del caso Diciotti abbiamo parlato tanto (qui, qui e qui alcune riflessioni), perché sin dall'inizio è sembrato un turning point di questa esperienza di governo. E la sua conclusione è la fotografia più chiara di come sulla questione degli sbarchi si giochi una partita fondamentale, che chiama in causa non solo il futuro nel breve periodo del governo, ma anche il senso di responsabilità di ognuno di noi in relazione al mutato contesto. La linea difensiva scelta dal ministro dell’Interno nel caso Diciotti chiarisce perfettamente di cosa stiamo parlando. Dal punto di vista politico, Salvini ha compiuto un capolavoro di strategia e cinismo, rimangiandosi la parola data agli italiani e agli alleati, ma facendo in modo che a fare la più eclatante delle retromarce fosse il Movimento 5 Stelle. Con la lettera al Corsera, scritta senza nemmeno avvisare Di Maio e Conte, il leader leghista metteva l’alleato di fronte a un bivio: o mandarlo a processo contro la sua volontà o cedere rispetto a uno dei principi cardine della propria storia, il no a ogni forma di immunità parlamentare. Il risultato è stato quello di portare Di Maio e Conte a rivendicare le scelte politiche del Viminale in tema di migranti, schiacciando ulteriormente il Movimento 5 Stelle sulle posizioni della Lega. La memoria con cui Di Maio, Toninelli e Conte si dichiaravano praticamente correi di Salvini resterà a futura memoria.

Sul piano “culturale” e “ideologico”, poi, il caso Diciotti è l’ennesima dimostrazione di uno scivolamento inarrestabile. Siamo al punto in cui l’arrivo di qualche centinaio di disperati sulle nostre coste è percepito come un attacco alla patria da cui occorre “difendersi”. E a dirlo non sono i fanboy o gli elettori, ma i senatori italiani, come testimonia il surreale dibattito di oggi, i cui si dava per scontato che fosse una opzione "politica" tenere 177 persone bloccate su una nave militare italiana. È l’elemento che completa un processo avviato da tempo, con “la colpevolizzazione di chi salva vite in mare e la rivendicazione degli accordi con chi quelle vite le ha messe e mette costantemente in pericolo”. Nel momento in cui il Governo dimostra di non avere una linea né un progetto a medio termine per la gestione dei flussi (e a Salvini tocca fare inutili e improbabili direttive), si usa la finta dinamica élite vs popolo agitando l’immagine dello scontro epocale, dell’attacco alla sicurezza dei cittadini, e ripescando i vecchi fantasmi della sostituzione etnica e del terrorismo islamista. Distorsioni cognitive che diventano distorsioni argomentativi e contribuiscono a fabbricare una narrazione cinica e tossica. In un contesto in cui chi parla di migranti, chi salva i migranti, chi crede nell’integrazione e nell’accoglienza, finisce per essere il vero “nemico del popolo”.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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