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Perché il trattamento di fine servizio per i dipendenti pubblici è un problema per l’Italia

Il trattamento di fine servizio a rate per i dipendenti pubblici, introdotto per fronteggiare crisi passate, sta causando significative perdite economiche per i lavoratori, con un impatto di circa 4,4 miliardi di euro. La questione potrebbe essere risolta solo tramite una decisione della Corte Costituzionale o un intervento legislativo.
A cura di Francesca Moriero
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In Italia, sotto la superficie dei dibattiti più noti sui conti pubblici, si nasconde una questione economica di grande rilevanza, che potrebbe avere un impatto significativo nel tempo: la questione del trattamento di fine servizio per i dipendenti pubblici, un problema che potrebbe costare milioni di euro e che sta diventando sempre più urgente. Sotto l'aspetto più visibile dei conti pubblici italiani, infatti, come le ultime richieste di tagliare l'Irpef o quella di "rottamare" le cartelle esattoriali, si cela infatti un altro problema che sta causando significative perdite economiche per i lavoratori, con un impatto di circa 4,4 miliardi di euro.

Il meccanismo attuale prevede che il Tfs/Tfr venga corrisposto ai dipendenti pubblici dopo 12 mesi se il pensionamento è di vecchiaia, 24 mesi se il pensionamento è anticipato, ma se il montante maturato supera i 50 mila euro allora scatta la rateizzazione con tempi più lunghi.

Il problema del trattamento di fine servizio per gli statali

Il tema del pagamento a rate del trattamento di fine servizio per i dipendenti pubblici è stato recentemente rilanciato da una serie di sindacati, tra cui Cgil, Uil, Cgs, Cse, Cosmed, Cida e Codirp, che hanno messo in evidenza quanto i lavoratori pubblici stiano pagando a causa dei ritardi nei pagamenti. Per esempio, chi ha lasciato il lavoro nel 2022 o nel 2023, anni caratterizzati da un'altissima inflazione, ha visto diminuire il potere d'acquisto della propria liquidazione. Si stima addirittura che chi ha ricevuto una liquidazione media di 82.400 euro ha perso circa 11.735 euro, cioè pari al 14,2% del totale, con un impatto cumulato di circa 2,2 miliardi di euro.

Il danno economico è ancora maggiore per i dirigenti, che rappresentano una parte significativa del movimento che sta cercando di portare alla luce questo problema.

Il contesto storico e le scelte passate

Nel corso degli anni, il trattamento di fine servizio a rate è stato oggetto di diverse scelte politiche e finanziarie: sebbene la sua applicazione sia stata pensata come una misura temporanea per far fronte alle difficoltà economiche, oggi rappresenta un problema strutturale. Questo tipo di pagamento è stato introdotto dal Governo Berlusconi nel 2011 e poi rinforzato dai successivi governi di Mario Monti e Enrico Letta, con l'obiettivo di fronteggiare la crisi del debito pubblico e la situazione critica degli anni dello spread.

Nel frattempo, il contesto internazionale è cambiato, e si sono verificati altri due grandi shock economici: la pandemia e l'inflazione. Nonostante questi eventi, però, il blocco dei pagamenti delle buonuscite ai dipendenti pubblici è rimasto in vigore. Questo ha creato un danno economico per molti lavoratori, soprattutto in un periodo in cui la loro liquidazione dovrebbe riflettere il valore reale del denaro.

I prossimi interventi

La questione del trattamento di fine servizio a rate potrebbe essere risolta tramite una nuova decisione da parte della Corte Costituzionale, o attraverso un intervento normativo se il legislatore deciderà di affrontare definitivamente la questione. I giudici amministrativi hanno sottolineato che l'inerzia sul tema potrebbe continuare infatti a danneggiare ancor di più i diritti dei lavoratori.

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