Perché il sottosegretario Delmastro è stato condannato per rivelazione di segreto e cosa succede ora
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Otto mesi di carcere, con sospensione della pena e non menzione nel casellario giudiziario. Una condanna, in primo grado, per il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove. Il reato è quello di rivelazione di segreto d'ufficio, la vicenda quella del caso Cospito: il sottosegretario a gennaio 2023 ottenne dalla Polizia penitenziaria, e poi passò illegalmente al deputato Donzelli, dei documenti riservati sull'anarchico detenuto al 41-bis. La condanna è stata accolta da Fratelli d'Italia e dalla presidente del Consiglio senza mezzi termini: una sentenza "politica", hanno detto diversi esponenti di FdI. E Meloni ha garantito che di dimissioni, per Delmastro, non si parla.
Parla Delmastro: "Sentenza politica, i giudici erano di Md"
"Condannato dopo tre richieste di assoluzione della procura, credo di essere nel Guinness dei primati", ha detto il sottosegretario al Corriere della sera, affermando di essere stato "condannato contro ogni ragionevole certezza della mia estraneità ai fatti, confermata dai pm". Delmastro non ha dato segni di preoccupazione: "Mi sento molto bene, anche per i messaggi di tanti italiani. Vorrei leggere invece quali messaggi arrivano a chi mi ha condannato".
Come più volte fatto dal governo, il sottosegretario ha rivolto l'attacco ai magistrati. Parlando dei suoi giudici, ha detto che il collegio era "fortemente connotato dalla presenza di Md", o Magistratura democratica, la corrente progressista delle toghe. E ha aggiunto: "Le sentenze non si commentano. Quelle politiche si commentano da sole. E questa lo fa".
Entrando nel merito della vicenda, il sottosegretario ha ribadito che quelli su Alfredo Cospito "non erano segreti di Stato né carte riservate". Insomma, che non ci sarebbe stato nessun segreto d'ufficio da rivelare. Il contrario di ciò che hanno stabilito i giudici.
Cosa ha fatto Delmastro nel caso Cospito
Per ricostruire il perché della condanna bisogna tornare a gennaio 2023, come detto. Il caso di Alfredo Cospito occupava tutti i giornali. L'anarchico è condannato a 23 anni di carcere per aver piazzato due ordigni al di fuori di una scuola allievi di carabinieri, esplosi la notte del 2 giugno 2006 senza feriti. Dal 2022 si trova in regime di 41-bis, e a gennaio 2023 era in corso il suo lungo sciopero della fame per protestare contro le condizioni di detenzione.
La sua protesta era diventata anche terreno di scontro politico. E, a gennaio, alcuni parlamentari del Pd erano andati a trovare Cospito in carcere, cosa che è prerogativa di tutti i deputati e senatori.
Proprio a fine mese, Delmastro aveva contattato Giovanni Russo, capo del Dap – Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, che ricade sotto il ministero della Giustizia e gestisce la Polizia penitenziaria. Proprio a due corpi della penitenziaria, il Gom (Gruppo operativo mobile) e il Nic (Nucleo investigativo centrale), Delmastro aveva chiesto urgentemente un rapporto sulla detenzione di Cospito.
In questo rapporto c'erano anche le conversazioni dell'anarchico con le uniche persone con cui ha la possibilità di parlare, in regime di 41-bis: alcuni boss mafiosi. Qui Cospito, nel mezzo del suo sciopero per la fame, diceva: "Deve essere una lotta contro il regime 41-bis e contro l'ergastolo ostativo, non solo per me. Per me tutti noi al 41-bis siamo uguali".
Il motivo per cui conosciamo queste frasi è che, il giorno dopo la richiesta urgente di Delmastro, il 31 gennaio 2023, si presentò in Aula Giovanni Donzelli, deputato di Fratelli d'Italia e coinquilino del sottosegretario. Che, senza chiarire da dove stava prendendo le sue informazioni, citò lunghi passaggi delle conversazioni di Cospito, arrivando ad accusare i deputati del Pd che lo erano andati a trovare di stare "dalla parte dei terroristi con la mafia".
Perché la condanna ha fatto arrabbiare FdI e il governo
Il processo ha di fatto ricostruito che fu Delmastro a trasmettere queste informazioni a Donzelli. Il punto controverso, sul piano legale, è stato il cosiddetto "elemento soggettivo", cioè la volontà di commettere un reato. Delmastro sapeva che stava violando un segreto d'ufficio, o pensava che quei documenti fossero a disposizione, se non di tutti, almeno dei parlamentari come Donzelli?
La procura di Roma, che ha portato avanti le indagini, ha sempre sostenuto quest'ultima linea. Infatti prima ha chiesto l'archiviazione del caso, poi l'assoluzione di Delmastro, proprio per "mancanza dell'elemento soggettivo". Al contrario, i diversi giudici che sono stati chiamati a decidere prima sulle indagini preliminari, e poi sulla sentenza di primo grado, l'hanno vista diversamente. Si attendono ancora le motivazioni della sentenza, ma visto l'esito – una condanna – è chiaro che il tribunale abbia valutato che il sottosegretario era pienamente a conoscenza del fatto che quei documenti erano riservati.
Cosa succede adesso al sottosegretario
Dal punto di vista giudiziario, ci sarà un ricorso in appello. Per quanto riguarda le conseguenze politiche, il quadro sembra già piuttosto chiaro. A differenza di quanto avvenuto con altre vicende giudiziarie – come il rinvio a giudizio della ministra Santanchè, su cui per diverse ore era calato il silenzio di Fratelli d'Italia – qui il partito e il governo si sono immediatamente schierati in difesa di Delmastro.
Tra i primi a farlo c'è stato proprio il ministro della Giustizia Nordio, che si è detto "disorientato e addolorato", ha definito Delmastro uno dei suoi "collaboratori più cari e capaci" e soprattutto gli ha rinnovato "la più totale e incondizionata fiducia" e ha chiosato: "Continueremo a lavorare insieme". Da Fratelli d'Italia sono subito arrivati gli attacchi ai giudici del Tribunale di Roma: il fatto che la procura avesse chiesto l'assoluzione ha fornito il pretesto per parlare di una condanna "politica".
A spazzare via ogni dubbio sul futuro politico di Delmastro è poi arrivata la presidente del Consiglio Giorgia Meloni: "Rimane al suo posto", ha scritto in una nota e sui social. Anche se con toni leggermente meno espliciti rispetto ai suoi colleghi di partito, anche Meloni ha insinuato che la condanna sia stata puramente politica: "Mi chiedo se il giudizio sia realmente basato sul merito della questione". Insomma, il sottosegretario alla Giustizia non ha nulla da temere: la sua poltrona resta sicura.
Anm: "Sconcertati da attacco del governo"
"Siamo sconcertati nel constatare che ancora una volta il potere esecutivo attacca un giudice per delegittimare una sentenza", ha dichiarato l'Associazione nazionale magistrati. "Siamo disorientati nel constatare che il ministro della Giustizia auspica la riforma di una sentenza di cui non esiste altro che il dispositivo. Sono dichiarazioni gravi, non consone alle funzioni esercitate, in aperta violazione del principio di separazione dei poteri, che minano la fiducia nelle istituzioni democratiche".