Perché il Pd sta litigando sull’ipotesi di mettere il nome di Schlein nel simbolo per le Europee
Quando a metà della mattinata di domenica 21 aprile, i partecipanti alla Direzione del Partito Democratico – convocata per discutere e votare le liste per le elezioni europee – arrivano al Largo del Nazareno, le facce sono distese, i toni ottimisti. "L'accordo c'è, oggi non litighiamo, la chiudiamo velocemente", dice più di uno, con in tasca già un biglietto di treno o aereo di ritorno, prenotato per il primo pomeriggio. La riunione del partito durerà invece fino a oltre le 16 e non basterà per mettere un punto definitivo.
Perché è vero, l'accordo c'era e infatti non si è litigato sui candidati per un seggio a Bruxelles. Ma intanto sul tavolo è piombata una mossa inattesa, quasi senza precedenti nella storia del Pd, che ha fatto saltare il banco: l'ipotesi di inserire il nome di Schlein nel simbolo sulle schede elettorali per le Europee. Da qui, si scrive l'ennesimo capitolo del genere letterario più longevo (e consumato) della politica italiana, lo scontro interno ai Democratici.
L'idea di mettere il nome di Elly Schlein nel simbolo del Pd per le Europee viene avanzata (il verbo è volutamente impersonale, vedremo dopo perché), durante la segreteria del partito, che si tiene subito prima dell'inizio della Direzione. E già lì, si capisce che qualcosa non va come dovrebbe, perché contro la proposta – oltre a Debora Serracchiani – si esprimono Peppe Porvenzano e Marco Sarracino, due esponenti della sinistra dem, che fin dall'inizio sostengono Schlein. Quando poi la voce si diffonde nei corridoi del Nazareno, i malumori si moltiplicano, anche perché quasi tutti giurano che fino a quel momento non ne sapevano nulla Nei conciliaboli sulla terrazza al terzo piano della sede del partito, un altro dei grandi sponsor della segretaria, Dario Franceschini dice ai suoi interlocutori che siamo davanti a un problema. Altri sottolineano che "nemmeno Renzi" è mai arrivato a fare una cosa del genere.
La trattativa
In realtà, a quanto si apprenderà più tardi, la tattica era stata concordata da tempo, tra gli emissari di Schlein e quelli della minoranza dem, guidata dal presidente del partito del partito Stefano Bonaccini. I termini dell'intesa sarebbero stati questi: da un lato, Schlein rinunciava a candidarsi in tutte le circoscrizioni e si impegnava a garantire una giusta rappresentanza nelle liste agli esponenti della minoranza. Dall'altro, appunto, si dava in via libera all'inserimento del suo nome nel simbolo dei Democratici, per le elezioni europee. Uno schema evidentemente, però, sconosciuto o mal digerito da una buona fetta del partito, compresi diversi capicorrente, tra quelli considerati dalla parte della leader.
Alle 12, Schlein apre la direzione. Nella lunga relazione, non fa cenno al tema del suo nome del simbolo. Poi il responsabile dell'organizzazione Igor Taruffi legge i nomi dei candidati. Qui termina la parte della riunione trasmessa in streaming e sembra andare tutto bene. Ma subito dopo, prende la parola Bonaccini e propone di inserire il nome di Schlein, nel logo per le Europee. Apriti cielo. A questo punto, il numero degli iscritti a parlare nel dibattito si ingrossa e aumenta di minuto in minuto. Una buona va al microfono di chi parla contesta la linea. Gianni Cuperlo dice che in questo modo si prefigura "un modello di partito che non è mai stato il nostro". Paola De Micheli parla di "errore grave" e Provenzano definisce "sbagliato inserire il nome della segretaria nel simbolo, senza fare prima una discussione sulla natura del partito". Contro la proposta, si esprimono pure diversi esponenti dell'area Franceschini. E ancora, tra gli atri, Laura Boldrini e Walter Verini.
Lo scontro
A questo punto, nello scontro tra correnti, si apre un secondo fronte, perché anche l'asse Schlein-Bonaccini si spezza. Negli ambienti vicini al governatore emiliano si parla di una vera e propria imboscata, da parte dei vertici del partito. Gli uomini di Bonaccini raccontano che l'idea di inserire il nome di Schlein nel simbolo Pd sarebbe stata esposta in segreteria da Taruffi, fedelissimo della segretaria. Il presidente del partito si sarebbe solo incaricato, per dovere di ruolo, di comunicare la scelta alla direzione. Di fronte al dissenso montante, però, prima il capogruppo dem in Senato Francesco Boccia e poi la stessa segretaria nella sua replica alla fine del dibattito avrebbero invece addossato a lui la paternità della proposta. Dalle parti di Schlein si replica che il presidente del partito non è il portavoce della segreteria, se avanza una proposta in Direzione, se ne assume la paternità.
Sta di fatto che, a sera, l'idea di mettere il nome di Schlein nel simbolo rimane senza padri. E con un altro copione classico della storia dei Democratici si decide di non decidere e di rimandare la scelta. La Direzione vota quasi all'unanimità una formula che approva lo schema delle liste per le Europee e dà mandato alla segretaria di decidere sull'inserimento del nome nel simbolo. L'ultima parola quindi spetterà a Schlein, dopo un nuovo giro di consultazioni. Sulla decisione però pende una spada di Damocle. Dal Nazareno trapela infatti che nel caso in cui fosse costretta a rinunciare a scrivere il suo nome sul simbolo, Schlein potrebbe rimettere in discussione tutti gli assetti delle liste. Secondo qualcuno, potrebbe addirittura riconsiderare l'ipotesi di candidarsi in tutte le circoscrizioni, anche se lo scenario sembra improbabile.
Al terrine della direzione del partito, Elly Schlein è chiude per altre quattro ore, dentro le stanze del Nazareno con i suoi fedelissimi. Poco dopo le 20, quando lascia la sede del Pd, di fronte alle domande dei cronisti, si limita ad annunciare che farà una diretta su Instagram, nel pomeriggio di lunedì 22 aprile, in cui scioglierà tutti nodi. La sensazione è che alla fine Schlein potrebbe tirare diritto e decidere di scrivere il suo nome nel simbolo, piuttosto che ricostruire da capo liste, da lei stessa descritte come "bellissime e molto forti". Ma lo scontro sembra destinato a lasciare il segno, all'interno del partito. Non solo tra maggioranza e minoranza dem, ma anche tra segretaria e una parte dell'area che la sostiene.