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Perché il governo Meloni si è spaccato sul terzo mandato ai presidenti di Regione

La Lega continua a proporlo, Forza Italia e Fratelli d’Italia continuano a opporsi: il terzo mandato per i presidenti di Regione sta di nuovo creando tensioni nella maggioranza di governo. Il problema è che la riforma aiuterebbe alcuni presidenti – soprattutto leghisti – già in carica, mettendo in difficoltà gli alleati.
A cura di Luca Pons
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Ancora una volta si riaccende lo scontro interno al centrodestra sulla riforma del terzo mandato ai presidenti di Regione, che oggi possono essere eletti al massimo due volte. Pochi giorni fa la Lega ha presentato un nuovo emendamento per introdurlo, ma come era prevedibile gli alleati si sono subito fatti sentire. Il segretario di Forza Italia Antonio Tajani ha ribadito ancora una volta: "Noi non siamo favorevoli". Da Fratelli d'Italia, il capogruppo alla Camera Tommaso Foti ha invece ricordato che gli emendamenti "dovrebbero riferirsi a casi di necessità e urgenza", che adesso "non è possibile riconoscere". Insomma, non è il momento di parlarne.

La Lega ha risposto con toni netti: "C'è un gioco di FdI a non volerci dare il terzo mandato per i governatori", ha detto il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari, che ha ricordato come il terzo mandato sia già stato riconosciuto ai sindaci nei Comuni fino a 15mila abitanti. Il vicesegretario del Carroccio Andrea Crippa è stato anche più deciso: "Non capisco il motivo di essere contrari. Se qualcuno non è d'accordo deve spiegare il perché, a oggi non ci è arrivato altro che frasi generiche".

Perché il terzo mandato ai presidenti di Regione aiuterebbe la Lega

Per capire perché nel centrodestra il tema del terzo mandato sollevi tensioni, basta guardare all'elenco dei presidenti di Regione attualmente in carica. Fratelli d'Italia, nonostante sia il partito più forte della coalizione sul piano elettorale, ne esprime solo due: Marsilio in Abruzzo e Acquaroli nelle Marche, entrambi al primo mandato. Forza Italia ne ha cinque e la Lega altri cinque: Fontana in Lombardia, Zaia in Veneto, Fedriga in Friuli-Venezia Giulia, Fugatti in Trentino-Alto Adige e Tesei in Umbria.

È evidente che il partito di Giorgia Meloni potrebbe avere interesse a candidare dei suoi esponenti alla prossima tornata elettorale. Per sottolineare il suo ruolo nel centrodestra, e magari anche per togliere qualche volto di spicco ai propri alleati. In particolare, proprio alla Lega.

Tra i governatori che sono già al secondo mandato – e che quindi dovrebbero lasciare il posto alle prossime elezioni, senza la riforma richiesta dal Carroccio – ci sono ad esempio Attilio Fontana, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga. Tutti nomi pesanti nella Lega, rieletti con forti consensi anche personali, che guidano Regioni in cui il partito di Matteo Salvini ha un forte radicamento da anni.

È chiaro che Fratelli d'Italia non avrebbe interesse a fare sì che un presidente leghista come Zaia possa correre di nuovo nel 2025, quando scadrà il suo mandato. Non a caso, il senatore veneto di FdI Luca De Carlo ha detto ad Affari italiani che la presidenza del Veneto dovrebbe spettare al suo partito perché "alle ultime elezioni politiche il 32,5% dei veneti ha votato Fratelli d'Italia", aggiungendo che sarebbe pronto a correre anche in prima persona. Il vicesegretario Crippa ha risposto a distanza: "Non è detto che anche noi non siamo pronti a correre in Veneto". E sull'ipotesi che FdI si opponga al terzo mandato per fermare Zaia, ha criticato: "Sarebbe una giustificazione abbastanza miope".

Perché il Pd potrebbe appoggiare il Carroccio

Ma c'è anche l'altra parte politica, cioè l'opposizione, e in particolare il Pd. I dem esprimono tre presidenti di Regione, tutti in scadenza l'anno prossimo: Stefano Bonaccini in Emilia-Romagna, Eugenio Giani in Toscana e Vincenzo De Luca in Campania. In più, c'è Michele Emiliano che formalmente è indipendente nel centrosinistra.

Bonaccini, De Luca ed Emiliano sono tutti al secondo mandato. Senza riforma, l'anno prossimo dovrebbero lasciare l'incarico. Anche in questo caso, è evidente perché almeno una parte del centrodestra potrebbe vedere di buon occhio questa possibilità, considerando che battere alle elezioni un presidente di Regione uscente può essere più difficile rispetto a un nuovo candidato.

La posizione sul terzo mandato del Pd è articolata, tra sindaci come Antonio Decaro (Bari) e governatori come De Luca che lo chiedono a gran voce, mentre la direzione del partito sembra meno decisa. Il capogruppo al Senato Francesco Boccia ha detto oggi che la proposta della Lega "ha bisogno di correttivi", ma non ha escluso di appoggiarla: "La destra è divisa perché la Lega presenta un emendamento e Fratelli d'Italia dice che è contrario. Il Partito democratico tiene molto al lavoro straordinario che tutti i sindaci italiani fanno ogni giorno, indipendentemente dal colore che rappresentano"

Anche il vicesegretario della Lega Crippa ha aperto: "Una parte del Pd fa un ragionamento di buonsenso. Fortunatamente a volte nel Pd esistono persone che hanno consapevolezza di quello che succede nei territori". Nel frattempo, la frattura nel centrodestra resta aperta. Lunedì prossimo, il 20 febbraio, inizieranno gli esami sugli emendamenti al decreto Elezioni, e i partiti dovranno schierarsi.

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