Il Movimento Cinque Stelle oggi non voterà il decreto Aiuti in Senato. Una scelta che potrebbe far scoppiare una piena crisi di governo e che, in sostanza, apre a due scenari possibili. Nelle ultime ore si è fatto di tutto per trovare una mediazione, dopo gli ultimatum dei pentastellati che chiedevano un cambio di passo a Palazzo Chigi. Ma alla fine Giuseppe Conte ha annunciato che i suoi, come già accaduto lunedì alla Camera, non parteciperanno al voto sul decreto Aiuti. Troppi i punti critici per il M5s, dal termovalorizzatore di Roma ai paletti su Superbonus e Reddito di cittadinanza. Sia la Lega che il Partito democratico, però, avevano messo in chiaro che, in caso di strappo dal Movimento, il governo sarebbe caduto e si sarebbe andati al voto.
Scenario uno, la verifica di maggioranza
Quindi la domanda è: cosa succede adesso? Partiamo da un presupposto: il Movimento non può replicare il trucchetto messo in atto alla Camera. Non è infatti permesso il voto disgiunto: a Montecitorio i pentastellati avevano confermato la fiducia ed erano usciti dall'Aula al momento del voto sul provvedimento, ma questo non è possibile a Palazzo Madama, dove il voto è unico. Dopo le parole di Giuseppe Conte la Lega ha chiarito che non votare il decreto (e quindi la fiducia) equivale a far saltare la maggioranza. Un'opzione possibile per uscire da questa impasse è chiedere una verifica di maggioranza a posteriori. Mario Draghi potrebbe quindi recarsi dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che lo rimetterebbe alle Camere: il presidente del Consiglio tornerebbe quindi in Parlamento per chiedere la fiducia a deputati e senatori. E in questo caso il Movimento Cinque Stelle voterebbe a favore.
Oppure potrebbe esserci una verifica di maggioranza anche senza scomodare il Colle. Questa era stata chiesta da Forza Italia già lunedì, quando i deputati pentastellati erano usciti dall'Aula della Camera. Anche Enrico Letta sembrerebbe ora a favore di questa opzione: "È evidente che la scelta annunciata da Conte e M5s rimette in discussione molte cose, e in una maggioranza così eterogenea ci sono dei distinguo. Ma io non mi preoccupo, esiste il voto di fiducia che è fondamentale. Chiederemo di fare una verifica per capire se questa maggioranza c'è ancora o no", ha detto il segretario dem in tarda serata, dopo l'annuncio di Conte. In questo modo, una volta assicurato il sostegno a Draghi, la crisi potrebbe rientrare.
Scenario due, la Lega non ci sta
La Lega, però, potrebbe decidere di non essere tanto accomodante. Come i Cinque Stelle, anche il Carroccio ha pagato un alto prezzo in termine di consensi per la scelta di sostenere il governo Draghi. E sa perfettamente che smarcandosi e tornando a dare battaglia sulle sue misure di bandiera (cosa impossibile da fare dall'interno di un governo dalle larghe intese) potrebbe recuperare un elettorato che nei mesi scorsi si è spostato verso l'opposizione di Giorgia Meloni. Insomma, la Lega sarebbe libera di fare davvero campagna elettorale e non si dovrebbe nemmeno caricare della responsabilità di avere aperto una crisi di governo nel bel mezzo di una situazione complicatissima per il Paese. Ragion per cui Matteo Salvini potrebbe decidere per la linea intransigente e insistere per andare subito al voto dopo lo strappo di Conte. Un'opzione per cui, tra l'altro, spinge anche Giorgia Meloni.
Vada come vada, il campo progressista non esiste più
In ognuno di questi due casi, l'alleanza tra Movimento Cinque Stelle e Partito democratico è probabilmente giunta al capolinea. "Sarebbe dura", ha risposto il ministro del Lavoro Andrea Orlando alla domanda se sia possibile proseguire nel sodalizio con il M5s anche in caso di rottura da parte di Conte. E un altro ministro dem, Dario Franceschini, da giorni insiste sulla necessità di andare ognuno per la sua strada. L'assenza di un campo progressista chiaramente cambierà molto gli equilibri nel momento delle elezioni. Mentre il Pd si troverà a correre da solo, il Centro di Matteo Renzi, Carlo Calenda (e Luigi Di Maio?) ne uscirà probabilmente rafforzato.