"Hai già le unioni civili" non è una risposta. Se qualcuno si fosse accontentato di metà diritti oggi non vivremmo in una democrazia.
Se Rosa Parks si fosse accontentata del suo posto in fondo all'autobus niente sarebbe cambiato, invece Rosa Parks andò a sedersi davanti, nel posto riservato ai bianchi, pensa tu che signora impertinente questa Rosa Parks, vero Giorgia Meloni?
Se poi lo sciopero degli autobus a Montgomery fosse durato un giorno o due, niente sarebbe mutato; invece durò 382 giorni consecutivi e mandò al collasso il servizio dei trasporti, e funzionò.
Se invece che i Pride per le strade, fossero stati organizzati dei gruppi privati su WhatsApp, o avessimo ascoltato Giorgia Meloni che oggi dice "accontentatevi", non avremmo avuto neanche le unioni civili. Che però non sono sufficienti, non è abbastanza riconoscere metà diritti e poi dire: "Ma come, ne vuoi ancora?"
I diritti non sono un piatto di pastasciutta, che dopo un po' basta perché si è sazi. Ci si deve accontentare perché troppi carboidrati possono fare male.
I diritti stanno insieme, si tengono per mano e quando i tempi sono bui, le mani devono stringersi più forte.
Giorgia Meloni e i difensori dell'immobilismo dovrebbero sapere che la richiesta di diritti è sempre, per sua natura, una forzatura dell'esistente. Non si attende che una porta che ti trovi chiusa in faccia si apra bussando, altrimenti sarebbe una concessione. Le porte chiuse davanti alla possibilità della propria e dell'altrui libertà, storicamente sono sempre state scardinate. E per farlo è necessario ribaltare paradigmi che fino a quel momento sembravano impossibili da modificare.
Giorgia Meloni, te lo spiego semplice: ai diritti mozzati manca un pezzo, e il pezzo che manca non è "dai, accontentati". Se il diritto alla libertà non è completo, significa che non si è completamente liberi.
Allungare le catene agli schiavi in Alabama non li rendeva liberi.
Due diritti meno uno, non fa "devo accontentarmi".
"Hai già le unioni civili" non è la risposta a un "contestatore".
Facciamo un passo indietro: le unioni civili sono state, questo sì, una rivoluzione, anche se siamo stati fra gli ultimi in Europa a renderle legge. Diciamo che sono state la rivoluzione di quel fanalino di coda che era ormai diventata l'Italia, ma sono state effettivamente una rivoluzione perché oggi neanche l'onnipotente Giorgia Meloni data dai sondaggi al 150% accenna alla possibilità di cancellarle.
Però le unioni civili non bastano, furono allora un compromesso ma non è questo un lamento. Semplicemente, non sono sufficienti.
Rimane ad esempio impossibile l'adozione, oppure rimangono impossibili la paternità o la maternità condivise senza ricorrere a un tribunale. Stessa cosa se uno dei due genitori morisse, l'affidamento all'altro non sarebbe per niente automatico; oppure rimane impossibile in caso di separazione non consensuale dei genitori l'affidamento del figlio adottato (all'estero) a entrambi.
Certamente, rispetto a far sbranare le persone gay dai leoni al Colosseo, è un bel passo avanti. Anche rispetto alle camere a gas, oppure alle purghe. Però per stare meglio, per evolversi come umanità, non bisogna guardare "a quando si stava peggio", soprattutto se a farlo sono esattamente gli eredi di quel peggio, però lustrati a nuovo.
"Chi s'accontenta gode" non è la risposta a un'esigenza di futuro, tant'è che il proverbio era usato più per evitare proteste – o tenere il cane al guinzaglio, direbbero alcuni – che per imparare a ricacciare l'avidità nel sacco del diavolo.
Io sono d'accordo però con l'impianto successivo: "Chi s'accontenta gode così così". La frase è di un filosofo moderno, li chiamano cantanti e lui si chiama Luciano Ligabue.
La strada dei diritti è solcata da tanti "ma chi te lo fa fare", oppure "dai, accontentati", e oggi anche da un grande "hai già le unioni civili". Ma nessun ostacolo, per quanto la strada sia lunga e gli ostacoli possano rallentare il cammino, sarà in grado di far cambiare direzione alla Storia, è questa la risposta che dovremmo dare a chi chiede diritti.