"Ha ragione Renato Brunetta" è una frase che non avrei mai pensato di pronunciare, non ne sono felice ma è giusto così: questa volta Renato Brunetta ha così tanta ragione che potrebbe tagliarla a fette e rivenderle al mercato del pesce per una settimana.
Quello che stupisce è che proprio lui – oggi vittima – non si renda conto di quante altre volte invece ha assunto le vesti del carnefice. Ma questo non cambia il suo ruolo oggi: Renato Brunetta è una persona che è stata insultata, e gli insulti non si misurano con il metro del "te lo meriti".
Facciamo un passo indietro: Marta Fascina – la compagna di Silvio Berlusconi – ha offeso Renato Brunetta in riferimento alla sua altezza, chiamandolo "nano".
Il motivo scatenante dell'ira di Marta Fascina è stata l'uscita di Renato Brunetta da Forza Italia, il partito fondato da Berlusconi, cioè il giocattolo con cui il Cavaliere ha governato (male) il Paese arrivando ad affidare a Renato Brunetta anche il ruolo di Ministro.
Io ricordo tutto di Renato Brunetta, però il curriculum vitae di una persona non stabilisce se un insulto le possa essere rivolto oppure no.
Si può essere buoni o cattivi, con la coda o con le corna, simpatici o incresciosi, sgradevoli, fastidiosi e finanche spiacevoli. Ma non c'è nessun motivo di partire dal corpo per trarne spunti da trasformare in odio.
Io ricordo benissimo il lavoratore dipendente insultato da Renato Brunetta, detentore del microfono come fosse lo scettro di ciò che è bene.
Ricordo anche quando dette di "fannulloni" a un'intera categoria di lavoratori e lavoratrici. Oppure quando disse "vada a morire ammazzata" alla gente di sinistra. E poi l'irrisione dei precari, o i registi italiani definiti "parassiti", e in generale quando riservò al mondo della cultura la dizione "parassiti del culturame", allineandosi così al dimenticabile Mario Scelba. Ricordo tutto, anche quando Renato Brunetta disse "fannulloni" ai "lavoratori in smart working con il cellulare poggiato sulla bottiglia del latte".
Ricordo tutto, ma niente della parola "nano" contro Renato Brunetta è giustificabile.
Non dobbiamo scordare quello che il deputato Renato Brunetta ha detto negli anni e continuerà a dire. Però – semplicemente – non deve essere quello il terreno di confronto sulla giustezza o meno degli insulti a lui rivolti.
"È una vita che io vengo violentato per la mia altezza, bassezza. Mi dicono tappo o nano e ho sofferto e continuo a soffrire per questo", si è sfogato il deputato Brunetta, e ovviamente ha ragione lui: il body shaming è una pratica abominevole, perché umilia uscendo dal seminato, e come un moderno latifondista della Louisiana il body shaming utilizza una caratteristica fisica per tracciare un solco e marcare una differenza.
Il body shaming è un odio che lascia a casa il cuore della questione, anzi: il cuore se l'è divorato l'insulto.
Per essere ancora più chiaro: nessun "ciccione" detto è giustificato, comprese le odiose battute su Mario Adinolfi, oppure i meme su Bocelli con riferimento quasi sempre alla sua cecità.
Ma le prese in giro potrebbero riferirsi al colore dei capelli o alla forma del naso: non ci sono pezzi di corpo esenti dalla possibilità di essere usati come clava contro una persona. E ovviamente non è mai neanche una questione strettamente legata alla bellezza di una persona. E' zeppo il mondo di prese in giro a vip e icone: Emma Marrone, Adele, Beyoncé e Vanessa Incontrada, solo per citarne quattro.
Ma anche Chiara Ferragni, messa a tacere nelle sue opinioni perché "troppo bella". Cioè anche in quel caso si usò una caratteristica fisica per togliere credibilità a una persona e ordinarle il silenzio e la sottomissione, sperando poi nella riprovazione generale verso il soggetto insultato.
Ricordiamolo: gli insulti che partono dal corpo non offendono chi li riceve, ma chi li pronuncia o chi li scrive.
Non vi piace Renato Brunetta? E allora smettete di chiamarlo "nano".