Uno è un partito fondato da un comico, come spesso dice lui, quasi per scherzo, che poi se n'è chiamato fuori e che ultimamente addirittura non esita a contestare le scelte del partito che ha fondato. A capo di quel partito c'è finito il suo consulente informatico, che chissà perché si dicesse che meritasse per meritocrazia quel ruolo perché visionario (come se il mio idraulico visionario venisse promosso commercialista così, liscio liscio, senza troppe spiegazioni). C'è un piccolo particolare Casaleggio era anche soprattutto un'azienda, l'azienda che più di tutte guadagnava, e guadagna, da quel partito. Perfetto. Ad un certo punto purtroppo Casaleggio padre viene a mancare e allora il nuovo capo occulto diventa Casaleggio figlio, per discendenza diretta, come in Cina, ma siccome così sembra una roba davvero troppo sporca allora si decide di nominare un capo politico (in un partito politico, beh, era ora) e si sceglie come? Per nomina. Luigi Di Maio. In base a cosa? Impossibile saperlo. E poi nessuna motivazione in realtà potrebbe sostenere la teoria dell'uno vale uno che nega di fatto la stessa struttura di un partito politico come deciso dalla Costituzione (quella Costituzione sacra che da quelle parti si sventolava con una certa facilità). Ora siamo messi così: il capo politico Di Maio ha il diritto se non addirittura il dovere di cambiare opinione e linea politica faticando al massimo con un post di spiegazioni, ovviamente scritto da Casaleggio. Ecco, un partito così oggi si sbellica ad ironizzare sulle centinaia di migliaia di persone (che siano un milione o un. milione un mezzo non cambia nulla) che fisicamente si spostano (e pagano) per decidere la prossima segreteria del proprio partito. Chapeau.
L'altro non è un partito. Forza Italia è un marchio. Anzi, Silvio Berlusconi è un marchio e il fatto che appaia quasi eterno rende la classe dirigente di quel partito più dipendente dagli umori del cane del capo che dalle effettive capacità politiche. Anche lui ci ha guadagnato tantissimo dal suo partito: ha fatto tutte le leggi che gli servivano per tenere salve le sue aziende e la sua fedina penale e lui stesso confessa di non trovare il suo delfino perché è circondato da tonni. Che forse, come dovrebbe accadere un partito normale, non debba essere lui a ungere il suo successore ma basterebbe seguire un percorso democratico, come, appunto, delle primarie, è un'idea che non sfiora nessuno. Eppure anche loro si sbellicano e ironizzano sulle primarie del PD. A posto così.
Il partito del vicepremier Salvini ha un debito (proprio economico, oltre che morale) nei confronti di Berlusconi che li ha salvati economicamente quando navigavano in cattive acque. Ma tutti fanno finta di esserselo dimenticato evidentemente. Partito padronale guidato da Bossi che è riuscito a cadere solo perché gli hanno processato tutta la famiglia fino alla seconda generazione altrimenti sarebbe ancora lì. Il partito è passato a Maroni, con percorso democratico e infine a Salvini. Ma contro Salvini c'è un'intero pezzo della base che non ha mai digerito l'elezione a capitano di Salvini eppure non ha voce. Ovvio che nessuno gli si mette contro ma secondo voi che gestione di partito può avere uno che fa il ministro occupandosi di tutti i ministeri degli altri e si fotografa davanti alla pastasciutta per regalarci sensazione di vicinanza? Secondo lui uscire di casa per votare un segretario di partito è una cosa irresistibilmente divertente eppure era quello fiero di fare i banchetti al freddo alla Darsena a Milano. Come cambiano i tempi. In peggio.
Gli altri invece sono quelli che fanno i congressi e quello che perde fonda un partito suo. Così tanto che alla fine sono diventati una costellazione, a destra e a sinistra, in cui diventa difficile raccapezzarsi. Però anche loro una battuta sulle primarie del PD non se la fanno mancare.
Insomma, ci vuole un bel fegato a ironizzare sulle primarie del PD.