I migranti arrivano come prima più di prima, i rimpatri stanno a zero, come prima e meno di prima, e la strategia di contenimento e gestione dei flussi migratori fa acqua da tutte le parti. L’economia arranca come sempre negli ultimi vent’anni, ma gli stipendi sono sempre più al palo e i prezzi crescono. Il debito pubblico è oltre ogni soglia di sicurezza, e per giunta i tassi per rifinanziarlo stanno crescendo di mese in mese. Il programma di tagli alle tasse è ormai un sogno, e la realtà rischia di esser fatta di tagli alla spesa. E la maggioranza è tutto fuorché salda, con Forza Italia nel caos e la Lega di Salvini che fa la fronda da destra.
Visti così – ed è dura vederli diversamente, nonostante la propaganda a reti unificate -i primi dodici mesi di Giorgia Meloni da vincitrice delle elezioni di un anno fa sono qualcosa di molto simile a un disastro. Eppure, paradossalmente, Giorgia Meloni può essere molto soddisfatta di com’è andato l’anno appena trascorso.
Può essere soddisfatta, innanzitutto, perché il consenso regge senza che nulla lo sostenga. A Renzi erano serviti gli 80 euro. A Salvini, quota 100. A Di Maio, il reddito di cittadinanza. Meloni, invece, veleggia stabile attorno al 30% nonostante non abbia fatto nulla di ciò che aveva promesso. Segno di una connessione profonda col Paese che va oltre le misura bandiera e i soldi gettati dall’elicottero.
Può essere soddisfatta, allo stesso modo, perché la sua credibilità internazionale tiene, nonostante tutto. Il presidente americano Joe Biden, la presidente della commissione europea Ursula Von der Leyen, il leader dei popolari europei Manfred Weber, il presidente ucraino Volodimyr Zelensky la considerano un’interlocutrice molto credibile, nonostante le intemerate nostalgiche e cospirazioniste dei suoi compagni di partito e coalizione come La Russa, Lollobrigida, Salvini. Nonostante le sue amicizie pericolose con il premier ungherese Victor Orban e con il leader neofranchista di Vox Santiago Abascal. Nonostante, pure, il catalogo complottista degno del miglior Trump sciorinato nel suo ultimo libro-intervista, La versione di Giorgia.
Può essere soddisfatta, perché l’opposizione, i sindacati e la società civile le stanno più o meno perdonando tutto: se giusto un ventennio fa, in pieno impero berlusconiano, si fosse parlato di tasse come pizzo di Stato, di migranti che muoiono per colpa loro, di epurazioni di massa nella tv di stato, di presidenzialismo approvato a colpi di maggioranza, se si fosse arrivati a mettere in discussione il cambiamento climatico, se fosse stato cancellato un sussidio universale di sostegno al reddito – e sicuramente ci stiamo dimenticando tantissima roba – probabilmente avremmo avuto mesi di piazze piene, girotondi, popoli viola, Vaffa Day, scioperi generali. Oggi, non solo le piazze sono vuote, ma i partiti di opposizione fanno a gara a chi giura più forte che non si alleerà con gli altri. Condizione necessaria, quest'ultima, per provare anche solo a contendere la maggioranza in parlamento a Meloni e soci.
Può essere soddisfatta, soprattutto, perché il suo lessico, la sua agenda, la sua visione del mondo sono ormai stati sdoganati nel pensiero mainstream. Ormai si può celebrare il 25 aprile senza nominare il fascismo, si può dar voce ai no vax nelle trasmissioni di servizio pubblico, si può dire che c’è un complotto europeo per far partire i migranti verso l’Italia, e lo scandalo lo provoca chi prova a indignarsi, a denunciare, a protestare. Che viene a sua volta coperto di piagnistei e vittimismi e "non si può dire niente".
Può essere soddisfatta, Giorgia Meloni. Perché alla fine, anche senza fare nulla, il Paese che governa le assomiglia molto più oggi di quanto non le somigliasse un anno fa. E se ti conquisti il cuore di un popolo, anziché il suo portafogli, la vittoria è doppia.
Forse pure tripla.