Servono 500mila firme entro il 30 settembre per continuare il percorso verso il referendum sulla depenalizzazione della cannabis, depositato in Cassazione il 7 settembre. Malgrado il tempo sia oggettivamente poco, l’obiettivo appare però raggiungibile, considerando che solo nella prima giornata sono state raccolte oltre 50mila firme (100mila in 24 ore), in gran parte tramite la modalità online. L’ennesimo segnale della mutata sensibilità dell’opinione pubblica sulla cannabis, tema su cui da anni la politica si mostra incapace di agire. L’iniziativa del coordinamento che raccoglie le associazioni Luca Coscioni, Antigone, Meglio Legale, Forum Droghe e Società della Ragione (con il supporto anche di Radicali Italiani, + Europa, Sinistra Italiana e Possibile) intende rompere uno stallo francamente imbarazzante, con il Parlamento incapace di modificare norme obsolete e ingiuste, che negli anni si sono rivelate inefficaci e problematiche.
Di cosa parla il referendum sulla cannabis
Il referendum riguarda il Testo Unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, proponendo modifiche sul piano della rilevanza penale e delle sanzioni amministrative in materia di droghe. Il quesito recita:
“Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica del 9 ottobre 1990, n. 309, avente ad oggetto “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza“, limitatamente alle seguenti parti:
Articolo 73, comma 1, limitatamente all’inciso “coltiva”;
Articolo 73, comma 4, limitatamente alle parole “la reclusione da due a 6 anni e”;
Articolo 75, limitatamente alle parole “a) sospensione della patente di guida, del certificato di abilitazione professionale per la guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni;
In sostanza, si chiede di depenalizzare la condotta di coltivazione di qualsiasi sostanza per uso personale (resterebbero le condotte di detenzione, produzione e fabbricazione per tutto ciò che non rientra nell’uso personale), eliminando la pena detentiva per “qualsiasi condotta illecita relativa alla Cannabis, con eccezione della associazione finalizzata al traffico illecito”; inoltre, si propone di eliminare la sanzione della sospensione della patente e del certificato per i ciclomotori nel caso sia accertato il semplice possesso (restano le norme sulla punizione della guida in stato di alterazione psico-fisica).
Perché è il momento di firmare
Le norme attualmente in vigore sono figlie di un approccio proibizionista e repressivo che ha fallito ovunque e comunque. Decine di migliaia di giovani hanno subito le conseguenze di norme punitive e sproporzionate; la repressione è costata moltissimo in termini di risorse e ha ingolfato procure e tribunali; il dibattito sulle droghe è stato inquinato da semplificazioni, generalizzazioni e pressappochismo. La war on drugs ha mostrato limiti anche sul piano pratico, come spiegava anche un report della Direzione Nazionale Antimafia: “La mastodontica attività di contrasto non ha portato significativi risultati sotto il profilo della riduzione dei consumi di sostanze stupefacenti, soggetti, al più, a fluttuazioni di carattere macro-geografico, generazionale o culturale; né sono percepibili variazioni significative nel flusso di denaro di cui si appropriano annualmente diversi sodalizi criminali […] dirottare ulteriori risorse su questo fronte ridurrebbe l'efficacia dell'azione repressiva su emergenze criminali virulente, quali quelle rappresentate da criminalità di tipo mafioso, estorsioni, traffico di essere umani e di rifiuti, corruzione eccetera”.
Nell’attesa di impostare un serio discorso sulla legalizzazione anche in Italia, la depenalizzazione rappresenta un passo essenziale per rimediare a squilibri e iniquità. Basti solo pensare al fatto che la stragrande maggioranza dei detenuti per reati connessi alle droghe è incappata nella violazione dell’articolo 73 del TU (appunto detenzione e spaccio), mentre solo una minima parte deve scontare pene connesse all’articolo 74 (traffico): in carcere non finiscono i grandi trafficanti, i criminali o gli esponenti delle organizzazioni mafiose, ma soprattutto consumatori e piccoli spacciatori, che per giunta perdono spesso l’accesso alle misure alternative al carcere (essendo spesso recidivi). La depenalizzazione consentirebbe di alleviare il carico giudiziario dei tribunali, di liberare risorse per il contrasto di altri fenomeni criminali e di ridurre il giro d'affari della criminalità organizzata.
C’è poi una considerazione di buonsenso minimo, oseremmo dire, che rimanda all'improponibilità di ogni riflessione generica sulle "droghe". Identificare allo stesso modo tutti i consumatori di sostanze stupefacenti e proporre un modello di repressione indifferenziata vuol dire non aver compreso la questione fino in fondo. In Italia i consumatori di cannabis sono oltre 6 milioni, persone che oggi, come spiegano i promotori del referendum, “hanno oggi due sole scelte: finanziare il mercato criminale nelle piazze di spaccio o coltivare cannabis a casa rischiando fino a 6 anni di carcere”. Tra loro, anche persone che utilizzano la cannabis a scopo terapeutico, che nei percorsi di cura “autorizzati” spesso incappano in ritardi burocratici e problemi sistemici.
Malgrado ci siano tante buone ragioni per agire e modificare le norme e l'approccio al tema, nel corso degli ultimi anni governi e Parlamento si sono avvitati in tentennamenti e contraddizioni. Anche per questo è il momento che l'iniziativa passi ai cittadini, che la consapevolezza dell'opinione pubblica si traduca in atti concreti. Il referendum, in tal senso, è un'occasione unica: firmare è il primo passo per cambiare le cose.