Per capire perché affittare una casa in una città italiana costa così tanto bisogna partire da un numero: 442 milioni, il numero delle presenze turistiche in Italia previsto per il 2023, più o meno sette volte il numero di cittadini della Penisola. È una cifra da record, figlia del post pandemia, ma anche di un’esplosione del turismo di massa legato in particolare alla nascita di una nuova, enorme, classe media globale, cinese ma non solo.
Quei 442 milioni spiegano tanto della crescita dell’economia italiana degli ultimi anni, ma raccontano anche di molti dei suoi problemi. Ad esempio, ristoratori e albergatori non riescono a trovare camerieri, spiaggini, aiuto cuochi che lavorino per loro agli stipendi di qualche anno fa, perché la domanda è aumentata, ma l’offerta è rimasta la stessa.
Se aumentano la domanda e aumentano gli stipendi, aumentano anche i prezzi delle camere. E allora ecco che per molti proprietari di più di una casa – e gli italiani lo sono per definizione – diventa molto più conveniente mettere a disposizione le loro seconde o terze case sul mercato degli affitti brevi. Così facendo, offrono ai turisti un’alternativa più conveniente agli hotel. Ma nello stesso tempo tolgono le loro case dalla disponibilità del mercato degli affitti a lungo termine.
Altro giro, altra legge della domanda e dell’offerta, insomma: se ci sono meno case a disposizione, i prezzi delle abitazioni aumentano. E a farne le spese, come al solito, sono le persone coi redditi più bassi. I lavoratori a basso reddito, che non hanno altra strada che uscire dalle grandi città e andare a cercare una casa in provincia, o nella provincia della provincia. E gli studenti universitari fuori sede, quelli che stanno mettendo le tende davanti agli atenei per protestare contro il caro affitti. Milano è il caso scuola per eccellenza con il costo per una camera singola schizzato a oltre 600 euro al mese, cifra che ne fa la quarta città con gli affitti più cari d’Europa, addirittura sopra Parigi e Berlino.
Anche per questo, molte città stanno fortemente limitando la possibilità di mettere le seconde case sul mercato degli affitti a breve. Una strada percorsa da città come New York, San Francisco, Londra, Parigi e Barcellona, che mira con misure di questo tipo a evitare che i prezzi delle abitazioni in affitto continuino a schizzare in alto, svuotandole di abitanti mentre le riempiono di turisti.
Non è tutta colpa del nuovo boom del turismo di massa, che colpisce ormai indiscriminatamente tutte o quasi le grandi città europee. Semmai, il turismo è come la marea che si è abbassata di colpo, mostrando i numerosi problemi del nostro sistema abitativo e del nostro welfare che eravamo abituati a nascondere sotto il pelo dell’acqua.
Primo fra tutti, l’assenza di un piano nazionale di edilizia popolare e convenzionata nelle grandi città che va a discapito delle classi meno abbienti, o comunque di un’offerta del tutto inadeguata alla domanda: secondo Federcasa, in Italia servirebbero circa 300mila nuove case popolari. Case che darebbero alloggio a 300mila persone, o famiglie. E che, aumentando l’offerta, concorrerebbero a far scendere gli affitti anche per chi è in affitto altrove. Per questo – oggi, con colpevole ritardo – molti sindaci e il governo stesso stanno pensando di riqualificare caserme ed edifici dismessi da mettere a disposizione come studentati e case a prezzo calmierato. Intanto però i 2,8 miliardi previsti nel Pnrr per gli alloggi pubblici – pari a quasi 300 progetti di edilizia popolare – sono fermi perché va ancora nominata la commissione che dovrebbe validarli.
Un secondo problema – che riguarda prettamente gli studenti – sta nell’assenza di sussidi, strumenti di credito agevolato e prestiti d’onore per chi studia. Strumenti di cui in Italia usufruisce meno dell’1% degli studenti, laddove in Germania e Danimarca questa percentuale si situa tra il 15% e il 50%, mentre nel Regno Unito, in Olanda e nei Paesi scandinavi è prassi per più della metà degli studenti universitari.
Con un sistema di credito e incentivazione del diritto allo studio – lontano anni luce dalla piaga dell’indebitamento studentesco americano – molti studenti potrebbero permettersi di vivere fuori sede senza pesare eccessivamente sulle famiglie grazie al sostegno dello Stato. Sostegno che, in questi anni, è diminuito anziché aumentare: nell’ultima finanziaria, ad esempio, è stato tagliato il fondo di 300 milioni contro la morosità incolpevole. E sono anni, se non decenni, che non si interviene per fermare l’emorragia dei fondi per il diritto allo studio. Salvo poi, oggi, stracciarsi le vesti di fronte alla protesta delle tende. O peggio ancora, irridere chi protesta, come se il diritto di abitare a prezzi decenti fosse chissà quale privilegio.