Perché a nessuno interessa della catastrofe umanitaria dei migranti in Bosnia
Ai confini dell'Unione europea centinaia di migranti continuano ad affrontare una crisi umanitaria che li costringe a sopravvivere senza un riparo mentre le temperature da settimane ormai sono crollate ben sotto lo zero, senza elettricità o acqua corrente. Nella zona a Nord-Ovest della Bosnia ed Erzegovina, a pochi chilometri dalla frontiera con la Croazia, a un mese dall'incendio che ha devastato il campo profughi di Lipa a Bihac, circa 1.500 persone vivono in condizioni disastrose. Non hanno servizi igienici né un tetto sopra la testa: sono costretti a lavarsi nei torrenti di montagna, nell'acqua ghiacciata, circondati dalla neve e di notte, con temperature di decine di gradi sotto lo zero, rimangono all'aperto.
Provengono per lo più da Afghanistan, Pakistan, Bangladesh. Per loro una soluzione ancora non è stata trovata. Dopo che le fiamme, divampate per cause ancora non chiare, hanno bruciato la tendopoli di Lipa molti migranti hanno cercato riparo nelle foreste vicine, mentre altrettanti sono rimasti nel campo semi-distrutto in condizioni invivibili.
Da Bruxelles non sono mancate le pressioni al governo bosniaco che però, ad oggi, non è riuscito a risolvere questa tragedia umanitaria, ostacolato soprattutto dalle autorità e delle comunità locali che si rifiutano di accogliere i migranti sfollati. Il commissario europeo per la gestione delle crisi, Janez Lenarčič, ha detto che un tale disastro avrebbe potuto "essere evitato se le autorità avessero creato sufficienti capacità di riparo per l'inverno, anche utilizzando le strutture esistenti disponibili". Il riferimento è al centro di accoglienza di Bira, che si trova sempre a Bihac: la struttura ha ricevuto 3,5 milioni di euro dall'Unione europea, ma non è mai stata ancora utilizzata sempre a causa dei residenti e delle comunità locali, che non vogliono che i migranti vengano ospitati nel centro.
Sarebbe semplicistico, però, scaricare tutte le responsabilità sulle autorità bosniache. L'Unione europea, pur essendosi attivata in finanziamenti e appelli al governo di Sarajevo, sembra comunque essere decisa a non affrontare la crisi sul suolo comunitario.
In altre parole, la responsabilità di quello che sta accadendo lungo la rotta balcanica non può essere attribuita solamente alla Bosnia ed Erzegovina. Come racconta l'Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), che a sua volta cita il Danish Refugee Council, anche la polizia di frontiera sarebbe responsabile della violenza sui migranti, respingendo la maggior parte delle persone che cerca di entrare nell'Unione europea.
La Bosnia ed Erzegovina, infatti, non è la meta finale di chi intraprende la rotta balcanica. I migranti cercano di arrivare in un Paese comunitario, ma spesso vengono respinti prima al confine con la Croazia, poi a quello sloveno e infine a quello italiano. Secondo dei dati dello stesso ministero dell'Interno, elaborati da Altreconomia, tra il 1° gennaio e il 15 novembre dell'anno scorso, l'Italia avrebbe "riammesso" in Slovenia ben 1.240 migranti e richiedenti asilo. Sempre a quanto riferito dal Danish Refugee Council, da marzo 2019 sarebbero state respinte dalla Croazia alla Bosnia almeno 21 mila persone. Di queste, oltre mille, solo a novembre 2020.
Dal 2018 l'Unione europea ha versato circa 88 milioni di euro nelle casse di Sarajevo per gestire i campi profughi sul suo territorio. In piccolo, un'operazione simile a quella stretta con la Turchia nel 2016. "Non possiamo chiedere a quel Paese di gestire tutto il flusso migratorio di cui noi non vogliamo occuparci sul nostro territorio", ha commentato la presidente della sottocommissione per i Diritti umani, Maria Arena, durante una conferenza organizzata lo scorso 15 gennaio.
Il piano di Bruxelles, ancora una volta, sembra voler impedire l'accesso a migliaia di migranti ai Paesi dell'Unione, dove avrebbero il diritto di presentare una domanda di asilo, segregando queste persone in Paesi appena al di là della frontiera comunitaria, come appunto la Bosnia ed Erzegovina. Che di certo non manca di responsabilità per la catastrofe umanitaria che si sta verificando a Lipa. Ma che, in ultima istanza, viene finanziata proprio dall'Unione europea per accogliere persone che Bruxelles non vuole.