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Per vincere odio e intolleranza sui migranti c’è bisogno di corretta informazione

Il rapporto dell’Associazione Carta di Roma evidenzia come la narrazione del fenomeno migratorio sui media tradizionali si sia “normalizzata”, in una sorta di assuefazione su certe tematiche. Ma se si affievoliscono i toni allarmistici sui giornali, sui social gli episodi di cronaca diventano occasione per hate speech e un linguaggio “disumanizzato”.
A cura di Claudia Torrisi
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Il 2016 è stato un altro anno in cui il fenomeno migratorio ha occupato una grande parte della nostra quotidianità. Sono stati dodici mesi durante i quali si è parlato di accoglienza (buona, ma più spesso mancata o male organizzata), sbarchi, naufragi (con un picco di morti nel Mediterraneo), frontiere, proteste e muri. Ciononostante, il 2016 può essere definito l’anno della "metabolizzazione" del fenomeno migratorio: il tema occupa ancora prime pagine e homepage di giornali e quotidiani, ma è diventato una presenza mainstream, senza i picchi di visibilità del 2015. Secondo il IV Rapporto "Notizie oltre i muri" dell'associazione Carta di Roma – curato dall’Osservatorio di Pavia in collaborazione con l’Osservatorio europeo per la sicurezza – nel 2016 sono apparse 1.622 notizie dedicate al tema dell'immigrazione, registrando un "ulteriore aumento degli articoli in prima pagina sui quotidiani esaminati", mentre nei telegiornali la visibilità del fenomeno migratorio è stata di 2.954 notizie in dieci mesi, in calo del 26% rispetto al 2015.

I migranti senza voce e la "normalizzazione" degli sbarchi

Al centro del racconto sull'immigrazione quest'anno c'è stata la politica: nel 33% dei servizi dei telegiornali di prima serata dedicati al fenomeno sono intervenuti esponenti istituzionali italiani; nel 23% dei casi, invece, hanno parlato autorità dell'Unione europea. Sommando le due tipologie, l'associazione rileva come in un servizio su due il dibattito sull'immigrazione sia animato da politici. Ma se la voce istituzionale è ben presente, è quella di chi vive in prima persona il fenomeno migratorio a mancare: solo nel 3% dei servizi, infatti, viene dato spazio a testimonianze di rifugiati, profughi o immigrati, trattati più come soggetti passivi che come attori di ciò che accade. Il dato è ancora più basso rispetto al 2015, quando era del 6%. Quando migranti e rifugiati sono presenti, tra l'altro, spesso lo sono "in cornici narrative e contesti tematici negativi".

Secondo il rapporto di Carta di Roma, più della metà dei titoli dei quotidiani nel corso del 2016 ha riguardato muri e frontiere (57%), il resto è stata cronaca degli sbarchi e dei naufragi, raccontati piuttosto in dettaglio. Poco o nulla, però, viene raccontato dei paesi di transito e di origine dei flussi, o di cosa accade subito dopo che i migranti sbarcano in Europa e in Italia. Pur rappresentando, infatti, il tema "attorno al quale ruota la maggior parte della comunicazione sull’immigrazione", si è parlato molto poco di accoglienza: la sua presenza sui giornali (34%) è scesa di oltre venti punti rispetto al 2015. La ragione, per il rapporto, sta nell'ampia visibilità "che hanno avuto le dimensioni della politica e della gestione europea e nazionale dell’accoglienza". Assente dalle pagine anche la questione dei corridoi umanitari. Insomma, la "normalizzazione" del racconto dell'immigrazione riguarda ancora solo una piccola parte del fenomeno.

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Meno allarmismo, tranne in cronaca nera

Rispetto all'anno precedente, nel 2016 c'è stato un "calo della componente allarmistica". Anche questo è probabilmente dovuto dalla massiccia visibilità avuta dalla politica e dalla gestione europea e nazionale della questione migratoria. Secondo Ilvo Diamanti, professore di Analisi dell’Opinione pubblica all’Università di Urbino e direttore scientifico di Demos, è come se l'immigrazione venisse "strumentalizzata da un soggetto ancora più impopolare e inquietante come la politica politicante".

Il rapporto rileva come, tuttavia, "toni ansiogeni" permangano nella cronaca nera, specialmente per quanto riguarda il rischio di attentati di matrice jihadista, un tema che "evoca maggiore insicurezza, sia per la presunta presenza sul nostro territorio di migranti potenzialmente appartenenti a reti estremiste sia per il rischio di infiltrazioni terroristiche tra i rifugiati in arrivo sulle nostre coste". Un dato, però, è da sottolineare: nel 2016 si è in parte rovesciato il rapporto tra immigrati e sicurezza sui media: spesso, infatti, gli stranieri sono stati protagonisti in episodi di cronaca non come autori ma come vittime di violenze o discriminazioni.

Fanno la comparsa, infine, "toni sarcastici e liquidatori" nei confronti di migranti e rifugiati – utilizzati per la verità da un’unica testata: il Giornale. Per il rapporto, è un segnale di "quanto la gestione del fenomeno migratorio sia diventata terreno di scontro politico. È una comunicazione di confronto politico e istituzionale, a livello europeo, nazionale e perfino locale, sullo sfondo di immagini e racconti da campi profughi, tensioni sociali e resistenze all’accoglienza".

La deumanizzazione del linguaggio sui social

Due fatti accaduti nel 2016, in particolare, hanno innescato dibattito sui temi dell'immigrazione. Uno di questi è il referendum sulla Brexit: nella settimana a cavallo del voto in media in tutti i telegiornali in tre servizi su dieci era presente un'associazione tra gli effetti (o le ragioni) della Brexit e il fenomeno migratorio. Un binomio che incrementa la propria presenza dopo il 17 giugno, giorno dell'omicidio della deputata laburista Jo Cox ad opera di un sostenitore dei neonazisti. Il secondo evento è stata la morte a Fermo il 6 luglio di Emmanuel Chidi Nnamdi, nigeriano di trentasei anni, deceduto in ospedale dopo essere stato picchiato da Amedeo Mancini, vicino ad ambienti di destra. Da fatto di cronaca, l'episodio è diventato tema politico, innescando un dibattito su razzismo, politiche migratorie, legittima difesa e discorsi di odio.

Paola Barretta, ricercatrice dell’Osservatorio di Pavia, ha spiegato che l'analisi di questo caso "è utile per capire la netta differenza che ormai si rileva tra i media mainstream e i social media", aggiungendo che la "differenza cruciale sta nella mediazione giornalistica". In tutto sono stati inviati 1.444 tweet in sostegno di Amedeo Mancini. Pur rappresentando il 2% del totale sul caso Fermo, si tratta di messaggi che hanno avuto una forte risonanza. Mentre i giornali e telegiornali condannavano senza esitazione l’aggressione e gli insulti razzisti rivolti alla vedova di Emmanuel, il rapporto rileva che su Twitter, oltra a manifestazioni di sdegno, si assisteva anche "a una sguaiata deumanizzazione del linguaggio": violenti insulti razzisti e sessisti, opinioni estremizzate, e un conflitto virtuale in cui viene abbandonata "ogni remora di giudizio".

È sul social media che che, rileva Carta di Roma, è presente una "proliferazione di linguaggi profondamente intolleranti a contorno di una vicenda drammatica".  La "tematizzazione politica di casi come quello dell’omicidio di Fermo mescola cronaca nera, disagio sociale, visioni politiche fino a sfociare in un violento scontro ideologico fra accuse di razzismo da una parte e di eccesso di buonismo verso gli immigrati dall’altra".

Tuttavia, come spiegato dal presidente di Carta di Roma, Giovanni Maria Bellu, "dovremmo riflettere sul fatto che l'hate speech, quello che dilaga nei social network, trova alimento nella cattiva informazione".

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