Il memorandum di Roma fra Italia e Libia ha “svolto un ruolo importante per non isolare le autorità libiche e per il contrasto dei traffici di esseri umani” e ha contribuito a far diminuire le partenze e le morti in mare; le condizioni dei centri sono “migliorate” e si potrebbe giungere (non è chiarissimo in che modo e in che tempi, eh) alla “loro graduale chiusura, favorendo un intervento per la trasformazione delle strutture e giungendo a centri gestiti dalle agenzie dell'Onu”. Il ministro Lamorgese ha confermato per l’ennesima volta quella che è la linea italiana in tema di gestione delle partenze dalla Libia e di accordi con Tripoli: non cambia nulla rispetto alle precedenti esperienze di governo, se non nell’approccio più collaborativo nei confronti degli altri partner europei e più conciliante nei confronti degli operatori umanitari e delle organizzazioni non governative. Semplificando: gli accordi firmati dall’allora ministro Minniti sono parte imprescindibile dello schema di contenimento dei flussi e base fondamentale intorno alla quale impostare la linea complessiva sul versante dell’immigrazione.
Una lettura sbagliata, destinata ad avere gravi conseguenze nel medio e lungo periodo, proprio perché sancisce che è possibile derogare al rispetto dei diritti umani, delle convenzioni internazionali e della stessa legge italiani, in nome di una emergenza che non esiste, che è stata costruita a tavolino e che implicherebbe ripercussioni in termini di consenso elettorale. Le ragioni per stracciare questi accordi sono tante (ve ne abbiamo parlato qui, qui, qui e ancora qui), ma ciò che appare ancor più intollerabile è l'ipocrisia di una classe politica che semplicemente sta fingendo di non sapere. Di non sapere chi stiamo formando militarmente. Di non sapere cosa accade realmente nei centri di detenzione libici. Di non sapere cosa comporta il depotenziamento della nostra capacità operativa in mare. Di non sapere che la nostra stessa legge ci impone di non respingere persone verso paesi in guerra, e noi ora lo facciamo addirittura con i minori. Di non sapere che di fatto ci stiamo rendendo colpevoli di mancato soccorso, visto che ormai facciamo operare i libici anche sotto il nostro coordinamento. Di non sapere che con gli accordi i morti in mare sono aumentati, non diminuiti (perché è chiaro che il riferimento debba essere "in proporzione alle partenze" e non in termini assoluti). Di non sapere che sui corridoi umanitari stiamo facendo proprio il minimo indispensabile. Di non sapere che aumentare il potere contrattuale delle fazioni che gestiscono la GC libica non è precondizione per la stabilizzazione del paese, ma l'esatto contrario. Di non sapere dei ricatti, delle estorsioni, delle violenze che avvengono con i nostri soldi e il nostro consenso. Di non sapere che “la Libia non è un Paese stabile, è un Paese dove c'è una guerra: qualunque tipo di coinvolgimento del nostro Paese nel respingimento di persone verso un Paese in guerra è un atto illegale dal punto di vista del diritto internazionale”.
Ci state rendendo tutti complici, ipocriti e bugiardi. Ne vale davvero la pena?