C’è un posto speciale nel mio cuore per tutti quelli e tutte quelle che urlano alla dittatura del politicamente corretto, che sostengono che non si può più dire niente e che usano la loro voce per denunciare la deriva illiberale del dibattito pubblico. Leggo spesso e con attenzione i loro articoli e i loro post anche perché queste idee vengono portate avanti con prose brillanti e spesso divertenti, però poi mi chiedo: chissà dove vivono?
Il 16 settembre durante la trasmissione Lo Sportello di Forum, la giornalista Barbara Palombelli introduce come di consueto il caso di puntata, un litigio tra moglie e marito. Inizia così: “Come sapete, negli ultimi sette giorni ci sono stati sette delitti, sette donne uccise presumibilmente da sette uomini”. Le parole sono importanti e allora iniziamo a chiamarli con i loro nomi, questi delitti hanno un nome, si chiamano femminicidi, e hanno un nome perché sono omicidi che hanno delle caratteristiche precise: sono maturate all’interno di un contesto affettivo o relazionare e sono perpetrati da uomini verso le donne che si sono rifiutate o si sono opposte a un tentativo di coercizione e possesso. Inoltre, le vittime degli ultimi femminicidi sono state certamente uccise da uomini, basterebbe dare un’occhiata alle cronache che ricostruiscono quanto accaduto. Per cui già l’incipit dà al pubblico un’informazione parziale e non corretta.
Ma facciamoci del male e andiamo avanti. Palombelli continua: “A volte è lecito domandarsi se questi uomini erano completamente fuori di testa oppure c’è stato un comportamento esasperante, aggressivo anche dall’altra parte? È una domanda, dobbiamo farcela per forza perché in questa sede, in un tribunale, dobbiamo esaminare tutte le ipotesi”. Partiamo da un fatto, cioè che Barbara Palombelli ha accostato le tragiche statistiche sui femminicidi a una domanda come questa. Tutto ciò è avvenuto.
Non solo quindi il ragionamento partiva da un presupposto parziale e incorretto, ma era anche seguito da un ragionamento non sono incorretto ma addirittura pericoloso. Se è lecito domandarsi se chi commette un femminicidio è fuori di testa, sarebbe giusto ricordare che tra il 1 e il 24 novembre 2020, sono ventidue i femminicidi commessi con armi legalmente detenute. Non solo, la stragrande maggioranza dei femminicidi avviene al culmine di aggressioni fisiche, verbali o atteggiamenti persecutori e non sono frutto di quella che viene comunemente detta “legittima difesa”. Un uomo che uccide una donna non lo fa perché perde la testa, la maggior parte dei femminicidi sono premeditati e tragedie annunciate, per usare un’espressione cara alla tv del pomeriggio. È il caso di Vanessa Zappalà, uccisa qualche settimana fa ad Aci Trezza dal suo ex compagno denunciato per maltrattamenti, o è il caso di Sonia Lattari, una delle vittime a cui Palombelli si riferiva, uccisa dal marito dopo litigi e botte.
Ma, e provo imbarazzo solo a scrivere l’ovvio, nessun tipo di atteggiamento esasperante, nessun tradimento, nessuno sgarbo può giustificare la violenza fisica e verbale contro una donna, o contro qualsiasi essere umano. Con quale coraggio, su una rete nazionale e con un pubblico di milioni di persone, si possono fare affermazioni del genere? Non ci sarebbe bisogno nemmeno di scomodare lo spettro di ricevere una sanzione o di doversi scusare (anche se, una scusa e una rettifica sarebbero doverose): certe cose non andrebbero proprio dette soprattutto dopo una settimana che ha fatto registrare un femminicidio al giorno.
In questi giorni è uscito il primo libro di Carlotta Vagnoli intitolato “Maledetta Sfortuna – Vedere, riconoscere e rifiutare la violenza di genere”, l’ultimo dei tanti lavori che in questi ultimi anni stanno cercando di costruire una consapevolezza maggiore attorno al tema della violenza di genere. Anche la televisione generalista sta cercando di raccontare sotto una diversa prospettiva i femminicidi, si veda per esempio il caso di Senio Bonini che sta dedicando ampio spazio ad Agorà Extra e al lavoro fatto da Matilde D’Errico con Sopravvissute e con Amore Criminale.
La strada da fare è ancora tanta, però. Ha fatto discutere la partecipazione di Tommaso Eletti, ex concorrente di Temptation Island, al Grande Fratello Vip 6. Prima di partecipare al programma prodotto da Maria De Filippi, Eletti era un perfetto sconosciuto, la sua fama è quindi dovuta a ciò che ha fatto durante il suo “viaggio nei sentimenti”. Tommaso Eletti, come sottolineato da Selvaggia Lucarelli, ha avuto verso la sua ex compagna comportamenti di gelosia ossessiva e di possessività morbosa ed è proprio grazie a questi atteggiamenti che si è guadagnato la partecipazione a un altro reality e quindi più popolarità e quindi più introiti.
Durante la scorsa stagione televisiva, in tre popolari fiction Rai come Mina Settembre, Che Dio ci aiuti 6 e Le indagini di Lolita Lobosco, sono andate raccontare tre diverse storie di false denunce di stupro. Secondo quanto riporta l’Istat, la percentuale di false denunce si attesta tra il 6 e il 12% del totale.
Sono cresciuta anche io in una cultura misogina e patriarcale che mi ha insegnato a minimizzare qualsiasi eccesso di rabbia e gelosia da parte di un uomo e ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire. Sono cresciuta anche in un ambiente in cui la televisione rappresenta la principale se non l’unica fonte di informazione e di intrattenimento. Altri tempi, ora c’è la rete, ma non possiamo solo affidamento al web: qualche giorno fa Radio Deejay è entrata nell’occhio del ciclone per aver condiviso un video in cui un gruppo di tifosi urlava improperi contro una donna che stava tagliando l’erba di un campo di calcio prima della partita. Il post chiedeva se si trattasse di molestia o di goliardia. Dopo molte polemiche sono arrivate le scuse del direttore Linus ma non la rimozione del video o del post in questione.
Insomma, anche oggi basta mettere il naso fuori da Twitter per capire che non solo non c’è nessuna dittatura del politicamente corretto, ma che davanti a un episodio di violenza contro le donne la reazione è sempre quella: chiedersi quanto e se ce la siamo andate a cercare.