Per i giudici “non fu crudeltà”: polemiche dopo la sentenza sul caso Cecchettin

La decisione della Corte d'Assise di Venezia di escludere l'aggravante della crudeltà nella condanna all’ergastolo di Filippo Turetta, colpevole dell'omicidio di Giulia Cecchettin, ha suscitato un'ondata di reazioni nel mondo politico. Nelle motivazioni della sentenza, i giudici hanno ritenuto che, nonostante l'efferatezza del gesto e l'altissimo numero di coltellate, ben 75, non vi sia la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, di un'intenzione da parte dell'imputato di infliggere sofferenze gratuite e ulteriori alla vittima. Secondo la Corte, la violenza estrema sarebbe piuttosto il frutto di una condotta disordinata, dettata dalla scarsa capacità dell'aggressore di portare a termine l'omicidio in modo "più rapido ed efficace". Nelle registrazioni video analizzate durante il processo, i colpi appaiono sferrati "in modo caotico, ravvicinato e senza una precisa direzione". Per il collegio giudicante, non si tratterebbe quindi di una scelta deliberata volta a infliggere dolore aggiuntivo, ma dell'"azione scoordinata di una persona inesperta e incapace di colpire in modo letale sin da subito". Anche la ferita all'occhio, quella che ha determinato l'interruzione dell'aggressione da parte del femminicida di Cecchettin, come lui stesso ha dichiarato, viene letta dalla Corte non come un'azione mirata a deturpare il volto o a umiliare la vittima, ma come un colpo accidentale che ha generato un tale turbamento nell'imputato da portarlo a fermarsi.
Indignazione trasversale: "Una ferita alla memoria di Giulia Cecchettin"
Le motivazioni hanno provocato ovviamente un'ondata di indignazione da parte di numerosi esponenti politici, che hanno ritenuto inaccettabile il modo in cui la vicenda è stata inquadrata dal punto di vista giuridico. Per la senatrice di Forza Italia e vicepresidente del Senato, Licia Ronzulli, la decisione della Corte rappresenta una ferita ulteriore alla memoria di Giulia Cecchettin e al dolore della famiglia; secondo Ronzulli, giustificare l'efferatezza dell'atto con l'inesperienza dell'omicida appare assurdo, e simili argomentazioni "sarebbero più comprensibili se avanzate da un avvocato difensore, non da un organo giudicante". Ancora più dura è stata la reazione delle parlamentari del Movimento 5 Stelle che siedono nella Commissione d'inchiesta sul femminicidio e la violenza di genere: in una nota congiunta, Stefania Ascari, Anna Bilotti, Alessandra Maiorino e Daniela Morfino hanno sottolineato l'assurdità dell'argomentazione che lega l'assenza di crudeltà alla mancanza di esperienza nell'uccidere. A loro avviso, questa lettura rischia di "sminuire la gravità dell'atto, attribuendo quasi un'attenuante a chi ha ucciso brutalmente una giovane donna". Le parlamentari pongono inoltre l'accento sulla responsabilità di chi scrive sentenze così rilevanti, consapevole dell'impatto che avranno sulla società e sul dibattito pubblico. Chiamare Turetta "un femminicida inesperto", secondo loro, rappresenta una forma di giustificazione inaccettabile.
"Sarà necessario e interessante leggere il testo completo della motivazione della sentenza pronunciata il 3 dicembre scorso nei confronti dell'assassino di Giulia Cecchettin. Inaccettabile però che sia stato esclusa l'aggravante della crudeltà per la condanna all'ergastolo dell'omicida perché per i giudici aver inferto 75 coltellate dimostrerebbe inesperienza, non crudeltà. Ecco, è in questo che c'è l'enorme gap da colmare sull'educazione e il cambio di mentalità, e che coinvolge anche la formazione di giudici e magistrati. In 20 minuti e 75 coltellate, Giulia ha percepito che stava morendo, ma chi può dire se avrà anche percepito che Turetta non voleva farle male non necessario? Chi scrive queste sentenze molto attese, sa anche che saranno molto lette. Definirlo un femminicida inesperto alleggerisce il suo gesto ed è una giustificazione non tollerabile", si legge nella nota.
Anche la Lega ha reagito con durezza: Laura Ravetto, responsabile del dipartimento Pari Opportunità del partito, si è detta "incredula di fronte all'esclusione dell'aggravante", affermando che, nonostante gli sforzi legislativi per contrastare la violenza contro le donne, decisioni di questo tipo svuotano le norme di significato. Per la deputata Simonetta Matone, già magistrato, la motivazione della sentenza, pur formalmente corretta da un punto di vista tecnico, dimostra quanto profonda sia la distanza tra "la sensibilità della società e l'interpretazione della giustizia da parte di una parte della magistratura". Secondo Matone, nell'immaginario collettivo settantacinque coltellate non possono essere interpretate come il risultato di imperizia, ma come un'azione motivata da una volontà distruttiva nei confronti di una giovane donna che rivendicava la propria libertà.
Anche la deputata del M5s, Alessandra Maiorino si è espressa sul caso con un post su X (ex Twitter) ha commentato: "In Italia è stata coniata una nuova categoria criminologica: femminicida inesperto".
Anche lo stalking resta fuori: "Non c'erano segnali evidenti"
Nel testo della sentenza, inoltre, è stato escluso anche l'aggravante dello stalking. Secondo i giudici, le manifestazioni di disagio di Cecchettin durante la relazione con Turetta, come alcuni momenti di esasperazione o una crisi d'ansia avvenuta nel marzo del 2023 all'università, non sarebbero abbastanza sufficienti a dimostrare uno stato d'ansia grave e duraturo, come previsto dalla legge per configurare il reato. La Corte ha rilevato come nessun familiare o amico della giovane abbia mai notato comportamenti o segnali riconducibili a una condizione psicologica compromessa, tale da far ipotizzare un rapporto persecutorio sistematico. Anche questa parte della motivazione è stata duramente contestata, poiché rischia di oscurare un elemento ricorrente in molti casi di violenza di genere: il fatto che spesso, proprio nei contesti affettivi, la sofferenza e il malessere delle vittime non vengono riconosciuti in tempo, né dalle persone vicine né dalle istituzioni.
L'intera vicenda solleva dunque interrogativi profondi non solo sul piano giuridico, ma anche su quello culturale. La sentenza, pur restando entro i confini della legalità formale, mette in evidenza una distanza dolorosa tra la giustizia dei tribunali e quella percepita dall'opinione pubblica, in particolare in un paese, l'Italia, dove i femminicidi sono ancora una drammatica realtà quotidiana. Sullo sfondo, rimane l'immagine dell'ennesimo femminicidio e il timore che la narrazione giuridica possa, anche involontariamente, ridimensionare la portata del gesto.