«Lo Stato ha vinto e la mafia perde» dice il ministro dell'Interno, Angelino Alfano che all'elenco del suo ‘bestiario' dopo gli immigrati al lavoro gratis aggiunge anche quest'altra perla. Nel giorno in cui ricordiamo – 37 anni dopo – l'assassinio per mano mafiosa di Peppino Impastato, giornalista, politico ma soprattutto uomo coraggioso, il ministro dell'Interno che parla di mafia sconfitta è una nota stonata. Non basta un Totò Riina al 41bis o un Giuseppe Setola costretto in carcere: la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta, le mafie, si autorigenerano con una velocità che nemmeno la politica delle poltrone e dei cambi di casacca ha mai avuto. Alfano è cosciente di questo? Non si sa.
Di sicuro ne sono certi gli uomini dell'intelligence italiana che nel rapporto 2014 scrivono: «L’ingerenza del crimine organizzato nella gestione della cosa pubblica ha trovato ulteriori conferme, oltre che in eclatanti sviluppi investigativi, nel sempre consistente numero di amministrazioni locali sciolte per mafia». La mafia della lupara e della coppola in testa non c'è più da tempo: c'è quella delle cravatte di seta e dei completi firmati, quella delle transazioni finanziarie e delle infiltrazioni nel tessuto imprenditoriale e dirigenziale ad altissimo livello. Mafia perde-Stato vince è uno slogan. Un tempo erano cento passi, ora pure di meno.