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Pensioni

Pensioni, perché servirebbe un superbonus in busta paga per chi lascia il lavoro a 71 anni

Il rapporto del centro studi Itinerari previdenziali ha evidenziato che il sistema pensionistico in Italia è “sostenibile”, ma potrebbe funzionare molto meglio eliminando i vari anticipi – come Quota 103 – e offrendo un “superbonus per quanti scelgono di restare al lavoro fino a 71 anni”.
A cura di Luca Pons
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Basta con Quota 100, Quota 103 e altri anticipi: al loro posto servono pochi strumenti mirati per l'anticipo pensionistico, una soglia di anzianità contributiva minima fissata a 42 anni e 10 mesi (un anno in meno per le donne) e un nuovo "superbonus" per chi sceglie di andare in pensione solo una volta raggiunti i 71 anni di età. Questa è la proposta che emerge dal nuovo rapporto del centro studi Itinerari previdenziali sul sistema pensionistico in Italia.

È un sistema che è "sostenibile" per il momento – ci sono 1,44 lavoratori per ogni pensionato – e lo resterà anche "nel 2040", quando buona parte dei baby boomer (intesi come i nati "dal dopoguerra al 1980") avrà lasciato il lavoro. Il problema però, secondo il rapporto, è che l'Italia sul tema delle pensioni "naviga a vista senza bussola", e quindi "serve un serio cambio di rotta". Anche perché nei prossimi decenni, con l'invecchiamento della popolazione e il calo della natalità, il Paese si troverà davanti "la più grande transizione demografica di tutti i tempi".

Come funzionerebbe il superbonus per chi va in pensione a 71 anni

Per quanto riguarda le pensioni, sarebbe necessario alzare l'età a cui si lascia il lavoro. Oggi l'età di pensionamento in Italia è "tra le più basse d’Europa, circa 63 anni", e dovrà "gradualmente aumentare". Bisognerà quindi evitare di usare "eccessive anticipazioni", come sono Quota 100 e affini. Al contrario, serviranno "misure volte a favorire un’adeguata permanenza sul lavoro delle fasce più senior della popolazione".

Concretamente, questo vorrebbe dire limitare gli strumenti che sono stati introdotti negli ultimi anni, modificati di volta in volta (come Quota 100, poi alzata a Quota 102 e infine a Quota 103 dal 2023, ma con l'intenzione di cambiare ancora nei prossimi anni). Allo stesso tempo, l'anzianità minima da raggiungere  per il pensionamento anticipato andrebbe fissata in 42 anni e 10 mesi per gli uomini, 41 anni e 10 mesi per le donne, permettendo una soglia più bassa solo in alcuni casi: maternità, lavoratori precoci o fragili. Infine, servirebbe un "superbonus" per chi "volontariamente desidera lavorare fino ai 71 anni". Questo consisterebbe in un uno stipendio più alto, ricevendo un "33% di contributi in busta paga per tre anni, al netto delle imposte".

L'Italia spende "molto e male" per l'assistenza

In questa situazione, inoltre il governo italiano dovrebbe chiarire quanto spende per le pensioni e quanto per le misure di assistenza (come gli assegni sociali, l'integrazione al minimo, le invalidità civili…). Senza tenere conto di queste ultime, infatti, la spesa pensionistica non è alta quanto si tende a pensare: vale il 13% circa del Pil, in linea con la media europea del 12,6%.

Sommando tutte le spese citate, invece, si arriva al 16,7% del Pil. Quindi meglio dividere le due cose, per capire se ci sono sprechi. Anche perché dal 2008 al 2022 la spesa per l'assistenza è aumentata del 126%, e nello stesso periodo la povertà assoluta è aumentata nel Paese: "Spendiamo molto e spendiamo male", ha commentato il professor Alberto Brambilla, presidente del comitato scientifico che ha curato il rapporto.

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