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Pensioni

Pensioni anticipate, perché Ape sociale e Opzione donna possono sparire nel 2025

Per le pensioni anticipate il governo Meloni ha confermato tre misure quest’anno: Quota 103, Ape sociale e Opzione donna. Le ultime due, se l’esecutivo dovesse scegliere di cambiare le norme sull’uscita dal lavoro, potrebbero sparire del tutto. Ma per il momento si parla solo di ipotesi.
A cura di Luca Pons
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Al momento non si hanno certezze su come il governo Meloni si muoverà in materia di pensioni – soprattutto considerando che i fondi per la legge di bilancio saranno pochi – ma una delle possibilità sarebbe quella di eliminare di fatto Opzione donna e Ape sociale, due delle forme di anticipo pensionistico in vigore oggi, introducendo un nuovo sistema di flessibilità che superi quello delle "Quote".

I tre modi principali per lasciare il lavoro in anticipo che il governo ha varato per il 2024 (ma che scadranno a fine anno) sono: Quota 103, Ape sociale e Opzione donna. Il tavolo sulle pensioni sarà uno dei più complicati, perché le forze di maggioranza hanno intenzioni diverse: la Lega insiste su Quota 41 contributiva, Forza Italia vorrebbe un aumento degli assegni minimi, e nel frattempo si raccolgono le idee anche su come riformare il Tfr per spingere i lavoratori verso i fondi pensione.

Un'altra delle possibilità sul tavolo, su cui sta lavorando anche una commissione di esperti al Cnel, è la cosiddetta "flessibilità strutturale". La novità avrebbe soprattutto due lati negativi per il governo. Da una parte, potrebbe essere piuttosto costosa. Dall'altra, porterebbe a rinunciare al sistema delle "Quote", e quindi anche a un cavallo di battaglia leghista come Quota 41. Insomma, non è detto che questa sia la prima scelta dell'esecutivo.

Come potrebbe funzionare la "flessibilità strutturale" delle pensioni

Resta però il fatto che lavorare sulla flessibilità porterebbe anche dei lati positivi. A partire, ad esempio, dalla semplificazione. L'idea sarebbe quella che tutti i lavoratori possano andare in pensione a partire da quando hanno 64 anni, fino al massimo a quando ne hanno 72. Sarebbe sufficiente avere 25 anni di contributi versati, e aver maturato un assegno che sia pari ad almeno una volta e mezzo l'assegno sociale, quindi per quest'anno circa 800 euro al mese. A quel punto, fino a quando non si raggiunge la soglia della pensione di vecchiaia (cioè 67 anni, con 25 di contributi, o 71 anni se i contributi sono meno), si otterrebbe un assegno calcolato con il metodo contributivo, quindi più basso.

Cosa cambierebbe per Opzione donna e Ape sociale

Questo nuovo sistema si applicherebbe a tutti i lavoratori, dunque non ci sarebbe più spazio per Opzione donna. Oggi la misura riguarda una platea di donne estremamente ridotta, con almeno 59-61 anni di età (tanto più bassa in base al numero di figli) e almeno 35 anni di contributi, che devono essere caregiver, oppure invalide civili, o ancora licenziate o dipendenti di aziende in crisi. La "flessibilità strutturale" gli permetterebbe di andare in pensione a un'età più alta, ma con meno anni di contributi.

Quali lo stesso si può dire per l'Ape sociale, che coinvolge i disoccupati di lungo corso, i caregiver, gli invalidi civili e gli addetti a lavori gravosi (ad esempio insegnanti di scuola primaria o pre-primaria, operatori sanitari, autisti, personale incarico delle pulizie…). Questi, con 63 anni e 5 mesi di età e 30 anni di contributi (ma la soglia dei contributi può variare fino a 36 anni in base alla professione), potrebbero in quasi i tutti i casi aspettare pochi mesi, fino al compimento dei 64 anni, e soddisfare i requisiti.

Per ora, comunque, non ci sono certezze sulla strada che sceglierà il governo. Da questa settimana i lavori per la manovra entrano nel vivo, e dal vertice di maggioranza fissato per venerdì potrebbero arrivare le prime risposte. Resta comunque possibile che una riforma ambiziosa della flessibilità in uscita, di fronte a una manovra che già richiederà diversi tagli, venga messa da parte e rimandata al futuro.

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