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Pensioni, perché 44mila lavoratori rischiano di essere ‘esodati’ senza reddito e contributi per 3 mesi

La Cgil ha denunciato che oltre 44.000 lavoratrici e lavoratori, che hanno aderito negli ultimi anni a misure di uscita anticipata, per effetto dell’adeguamento automatico dei requisiti pensionistici alla speranza di vita rischiano di ritrovarsi dal primo gennaio 2027 senza reddito e senza contribuzione.
A cura di Annalisa Cangemi
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Ci sono oltre 44mila lavoratrici e lavoratori che rischiano di diventare i nuovi esodati dal 1 gennaio 2027: queste persone potrebbero ritrovarsi senza reddito e senza contribuzione, per tre mesi. Il dato emerge dall'ultima analisi dell'Osservatorio Previdenza della Cgil nazionale, e si riferisce a quanti hanno aderito negli ultimi anni a misure di uscita anticipata: la causa è da ricercare nell'adeguamento automatico dei requisiti pensionistici alla speranza di vita.

Le preoccupazioni riguardano, secondo la Cgil, quelle lavoratrici e lavoratori che tra 2020 e 2024 hanno sottoscritto accordi di anticipo pensionistico con le loro aziende per anticipare di alcuni anni l'uscita, accompagnati da un reddito ponte. Accordi siglati quando le regole previdenziali erano quelle di oggi: 67 anni di età per la vecchiaia e 42 anni e 10 mesi di contributi per l’anticipata (un anno in meno per le donne). Ora però, se il governo non fa nulla, dal 1 gennaio 2027 e fino a tutto il 2029 si aggiungono 3 mesi in più. E quindi si esce a 67 anni e 3 mesi oppure con 43 anni e un mese di contributi (un anno in meno per le donne).

Il sindacato ha calcolato come potrebbero essere 44mila appunto le persone coinvolte in accordi di isopensione, espansione e solidarietà. In particolare l'isopensione consente di anticipare fino a 7 anni, mentre il contratto di espansione assicurava l’uscita fino a 5 anni prima, così come gli accordi con i fondi.

Il responsabile delle politiche previdenziali della Confederazione, Ezio Cigna, ha spiegato che "se il Governo non interverrà, 19.200 lavoratori in isopensione e 4.000 con contratto di espansione si ritroveranno con un vuoto di tre mesi senza assegno, senza contributi, senza tutele. Parliamo di persone che hanno lasciato il lavoro nel pieno rispetto delle regole, firmando accordi con aziende e fondi, basati su date certe di accesso alla pensione. A questi si aggiungono altri 21.000 lavoratori usciti con i Fondi di solidarietà bilaterali, per i quali, seppur con impatti diversi, si configura comunque un possibile vuoto di copertura previdenziale".

Cosa è successo a gennaio con il caos pensioni: la denuncia della Cgil

Cigna ha ricordato che, come la Cgil aveva già denunciato a gennaio, "in assenza di interventi correttivi, nel 2027 il requisito per la pensione anticipata salirà a 43 anni e 1 mese di contributi (42 anni e 1 mese per le donne), mentre la pensione di vecchiaia passerà da 67 a 67 anni e 3 mesi. Un ulteriore ostacolo per migliaia di lavoratrici e lavoratori, che rischiano di non vedere riconosciuto il diritto maturato in base alle regole precedenti".

A gennaio infatti la Cgil aveva segnalato che l'Inps aveva aggiornato senza preavviso i criteri di calcolo delle pensioni, introducendo a sorpresa un aumento dei requisiti di accesso (lo stesso aveva fatto la Ragioneria generale dello Stato nel suo rapporto): dal 2027, secondo quanto era emerso in un primo momento da un aggiornamento del simulatore dell'ente previdenziale, sarebbero stati necessari 67 anni e tre mesi di età per la pensione di vecchiaia, quindi tre mesi in più, e 43 anni e un mese di contributi per la pensione anticipata, indipendentemente dall'età. Per le donne l'accesso alla pensione anticipata sarebbe stato concesso a 42 anni e 1 mese, un anno in meno.

Dal 2029 poi il requisito contributivo sarebbe salito di ulteriori due mesi: l'età della vecchiaia dunque sarebbe passata a 67 anni e 5 mesi e i contributi per l'anticipata a 43 anni e 3 mesi (un anno in meno per le donne). In totale, da qui al 2029, le cose sarebbero cambiate di molto: ben cinque mesi di lavoro in più, per l'accesso alla pensione, visto che ora i criteri per andare in pensione nel 2027 sono 67 anni (con 20 di contributi) e 42 anni e 10 mesi di contributi (uno in meno per le donne). Mentre nel 2029 aumenteranno di un mese soltanto. L'Inps poi aveva smentito tutto, e il ministro dell'Economia Giorgetti ha detto che il governo farà di tutto per bloccare l'aumento previsto dei tre mesi. Impedirlo però, come ha ricordato la Repubblica, comporta un costo per il bilancio dello Stato di almeno 4 miliardi.

Ma il pasticcio pensioni che si è verificato a gennaio in realtà non è stato un mero errore dell'Inps. Infatti, come aveva spiegato lo stesso istituto a Fanpage.it, i simulatori sono agganciati alle previsioni Istat per l'aspettativa di vita, che è appunto l'unico criterio che si segue per legge per stabilire l'età pensionabile. Anche a causa del Covid, i requisiti dell'età di uscita per la vecchiaia e dei contributi necessari per l’anticipata, non vengono toccati dal 2019. Ma potrebbero essere ritoccati a breve con un decreto interministeriale, visto che la decisione finale se alzare o no i requisiti spetta al governo, che deve appunto emanare un provvedimento.

Le simulazioni dell'Inps in genere si aggiornano anche prima del decreto del governo. A ottobre Istat aveva effettivamente previsto che con l'attuale aumento della speranza di vita sarebbe servito un aumento di tre mesi per l'età pensionabile nel 2027, e di altri tre mesi nel 2029. Lo aveva detto in un'audizione in Parlamento il presidente di Istat Francesco Maria Chelli. Ora però l'Istat pubblicherà il dato sulla speranza di vita a 65 anni, che è appunto la base per decidere l'adeguamento dell'età pensionabile nel 2027. Dopo il calo della speranza di vita a 65 anni registrato con la pandemia da Covid (quattro mesi che andrebbero recuperati nel prossimo aggiornamento) si è registrata, secondo l'Istat, una "crescita importante" di questo parametro che potrebbe determinare nel 2027 lo scatto dell'aumento dell'età per la pensione. A quel punto il governo dovrà recepire quanto già certificato dall'Istat e dalla Ragioneria, e cioè che la vita si è allungata, e quindi si andrà in pensione più tardi.

Il problema non si esaurisce con il 2027, riguarda anche gli anni successivi, e più in generale l'impianto stesso del sistema previdenziale. "Gli effetti dell'adeguamento alla speranza di vita – ha dichiarato infatti la segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione – pesano già oggi sulle nuove generazioni, costrette a posticipare sempre di più l'età della pensione e a fare i conti con assegni sempre più bassi, a causa della progressiva riduzione dei coefficienti di trasformazione. Un meccanismo che rischia di minare la fiducia dei giovani nel sistema pubblico e di accentuare disuguaglianze già profonde".

A conferma di queste preoccupazioni, i dati dell'Osservatorio statistico Inps: il 53,5% delle pensioni vigenti al 1 gennaio 2025 ha un importo inferiore a 750 euro. Percentuale che sale al 64,1% tra le donne. Di queste il 43,1% (4,1 milioni di pensioni) beneficiano di integrazioni al reddito legate alla soglia minima.

"È inaccettabile – ha detto la segretaria confederale della Cgil – che più della metà delle pensioni sia sotto la soglia della dignità. Lo ribadiamo al Governo, che aveva promesso il superamento della Legge Fornero ma nei fatti è riuscito solo a peggiorarla azzerando ogni forma di flessibilità in uscita e tagliando la rivalutazione: serve una riforma vera, che garantisca pensioni adeguate e dignitose, soprattutto per le donne e i giovani che spesso hanno carriere discontinue o lavori precari".

"Servono certezze per chi lavora oggi, per chi ha lavorato e per chi lavorerà domani. Bisogna ripartire dal lavoro: dal contrasto alla precarietà, dal riconoscimento della continuità contributiva, dalla costruzione di un sistema previdenziale giusto e universale. Per questo i referendum promossi dalla Cgil sono fondamentali, perché senza lavoro dignitoso, non c'è futuro né per le pensioni né per il Paese. Per questo l'8 e il 9 giugno sarà importante votare SÌ ai 5 referendum".

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