Il Consiglio dei ministri di lunedì sarà con ogni probabilità il primo vero banco di prova del nuovo Governo guidato da Mario Monti. Dopo la nomina dei sottosegretari (che pure ha richiesto più tempo del previsto, con tanto di giallo sulla nomina di Francesco Braga), il punto centrale sarà la discussione del piano di riforma del sistema pensionistico approntato dal nuovo ministro del Welfare Elsa Fornero. Del resto, la cronistoria delle riforme e dei vari tentativi di intervenire in materia dimostra la complessità di un simile passaggio, che chiama in causa non solo fattori di ordine economico – finanziario, ma il complesso dei rapporti fra Stato, cittadini e mondo del lavoro.
In tal senso, è del tutto comprensibile la genesi travagliata del "piano Fornero", sul quale da giorni aleggiano polemiche e prese di posizione contrastanti. Dopo le dichiarazioni di ieri rilasciate dal Ministro a Bruxelles, il quadro sembra però assumere contorni più definiti. In particolare sono tre i punti intorno ai quali sembra doversi sviluppare l'intervento del governo Monti: estensione del modello contributivo, innalzamento della soglia minima e blocco dell'adeguamento all'inflazione. Misure peraltro in parte anticipate in un saggio scritto a quattro mai con Flavia Coda Moscarola nell’ambito della sua attività di docente universitaria.
L'estensione del modello contributivo per le pensioni
L'intenzione del Ministro è quello di cancellare il modello "retributivo" anche per coloro che rimasero esclusi dal "cambiamento radicale" della Riforma Dini (in pratica i lavoratori con oltre 18 anni di contributi maturati prima del 1995). Come sottolineato anche da Enrico Marro sul Corriere, "si tratta di un provvedimento che Fornero vuole soprattutto per ragioni di equità, cioè affinché tutti i lavoratori siano tendenzialmente trattati allo stesso modo", anche se "i risparmi che verranno da questa misura sono quindi modesti: qualche centinaio di milioni nei primi anni. E i lavoratori che verranno colpiti dal decreto ci rimetteranno poco".
Requisiti minimi per le pensioni di anzianità
Su questo aspetto la riforma presenta tratti complessi e ancora poco chiari. Il nodo è centrato sulla nuova fisionomia delle pensioni di anzianità e sulla volontà di prevedere un meccanismo che non consenta l'uscita dal lavoro prima dei tempi attualmente previsti (60 anni e 36 di contributi), ma che allo stesso tempo preservi i diritti acquisiti. Ecco perché è tornato centrale il discorso delle "quote" (la somma di anni d'età e di contribuzione), con l'ipotesi di anticipare "quota 97" al 2012 e di impostare progressivamente la soglia minima a "quota 100". Ma il vero "terreno di scontro" resta invece la valutazione della posizione dei lavoratori che hanno maturato 40 anni di contributi e che per legge possono andare in pensione indipendentemente dall'età anagrafica. In tal senso la linea dei sindacati appare chiara: nessun margine di trattativa a modifiche sostanziali a tale cifra. Una determinazione che con ogni probabilità non coincide con le intenzioni del Governo, che sta lavorando intorno ad alcune ipotesi che prevedono la conservazione di tale diritto solo per alcune categorie di lavoratori e l'introduzione di una fascia "41 – 43".
Stop all'adeguamento delle pensioni in base all'inflazione
Anche in questo caso si tratta di un'ipotesi che trova la netta contrarietà dei sindacati e solo una timida apertura all'interno del centrosinistra. In pratica, si potrebbe bloccare l'adeguamento degli aumenti sulle pensioni all'inflazione corrente, eccezion fatta per i pensionati che non raggiungono un certo reddito. Si parlerebbe di un intervento massiccio e che potrebbe portare nelle casse dell'Inps enormi risorse (circa 3 miliardi) ma che andrebbe a colpire un numero molto alto di vitalizi. Anche in questo caso potrebbero essere necessarie delle "griglie" basate sulla tipologia di impiego, mentre resta tutta da valutare l'eventuale ricaduta sul "circuito economico complessivo" (in particolare per quanto riguarda i consumi).