Pensioni, il piano del governo Meloni per lanciare Quota 41 con assegno ridotto nel 2025
Quota 41, l'anticipo pensionistico che prevede la possibilità di lasciare il lavoro quando si maturano 41 anni di contributi a prescindere dalla propria età anagrafica, potrebbe finire nella legge di bilancio per il 2025. Ma, se questo avverrà, si tratterà comunque di una versione ‘light' rispetto a quella promessa inizialmente, anni fa, dalla Lega, che ne ha fatto poi un suo cavallo di battaglia. Infatti, per rendere la misura sostenibile dal punto di vista economico, serve un taglio degli assegni. Così, l'ipotesi più probabile è che chi sceglierà di utilizzare Quota 41 dovrà accontentarsi di una pensione ricalcolata con il metodo contributivo. Insomma, di una somma più bassa.
Nella manovra per il 2024, messa a punto poco meno di un anno fa, i soldi scarseggiavano e il governo Meloni aveva effettuato soprattutto una stretta dei requisiti per Quota 103, diventata meno conveniente (per l'assegno ricalcolato al ribasso) e più complicata da ottenere (per la finestra d'attesa più lunga). Finora, quest'anno, il risultato è stato un calo dei lavoratori che hanno scelto di approfittare di questa forma di pensione anticipata. Su pressione della Lega, questo potrebbe essere il momento per valutare il passaggio a Quota 41. Ma la situazione economica, per quel che riguarda i conti pubblici, non è certo migliorata. Così, come detto, servirà una versione di Quota 41 con pagamenti tagliati.
Cosa cambia con Quota 41 e assegno ridotto
Non è certo una sorpresa. Già all'inizio dell'anno, il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon (della Lega) aveva detto che si sarebbe lavorato per andare verso Quota 41 con un assegno ricalcolato. Lo stesso piano rilanciato pochi mesi fa e anche nell'estate. La sostanza sarebbe questa: chi sceglie di lasciare il lavoro una volta maturati i 41 anni di contributi dovrebbe accettare di ricevere un assegno calcolato interamente con il metodo contributivo. Insomma, l'importo della pensione sarebbe legato alla quantità di contributi versati. Con il sistema retributivo, che in Italia è rimasto in vigore fino al 1996 (e quindi si applica in parte per chi ha iniziato a lavorare prima di quell'anno), la pensione risulta invece più alta.
Con le pensioni più basse, è possibile che questo anticipo pensionistico sia sostenibile negli anni, man mano che nuove fasce della popolazione arrivano al requisito dei 41 anni. Ma il governo avrebbe un problema nell'immediato, quando tutti coloro che hanno già gli anni di contributi accumulati potrebbero fare richiesta: molte domande di pensione anticipata, e quindi molte pensioni da pagare prima del ‘previsto', anche se con un importo più ridotto, potrebbero mettere in tensione le casse dello Stato. Dall'altra parte, il rischio è che con il metodo contributivo l'assegno risulti troppo basso, e i pensionati si trovino in difficoltà economica.
Il piano del governo per chi avrebbe una pensione troppo bassa
Negli scorsi giorni il sottosegretario Durigon ha delineato quale sarebbe una delle soluzioni per provare a risolvere questo secondo problema. Si tratta della cosiddetta previdenza complementare, ovvero le pensioni ‘private' – erogate da fondi che raccolgono i risparmi del lavoratore negli anni, li investono per farli fruttare, e poi glieli ripagano una volta pensionato – che possono unirsi a quella pubblica.
La Lega ha già proposto in passato di rendere obbligatorio il versamento di una parte del Tfr in fondi pensione. Durigon ha sottolineato che il meccanismo può essere di aiuto per "dare un reddito maggiore ai pensionati più fragili". Rendendolo obbligatorio o comunque promuovendolo insieme a Quota 41, si raggiungerebbero due risultati: da una parte uno sforzo economico in meno per lo Stato, dall'altra una pensione meno bassa per chi scegliere meccanismi anticipate come Quota 41.