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Pensioni, cos’è “Opzione uomo”, il piano di Giorgia Meloni per smettere di lavorare a 58 anni

L’ipotesi al vaglio del nuovo governo sarebbe quello di estendere il ritiro dal lavoro anticipato per gli uomini, così come già accade per le donne, tagliando fino a un terzo l’assegno.
A cura di Biagio Chiariello
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Tra gli obiettivi del nuovo governo c'è quella di superare la legge Fornero. L'idea di Giorgia Meloni, secondo l'indiscrezione di Repubblica, è introdurre Opzione Uomo. Ovvero la pensione anticipata a 58-59 anni con 35 di contributi e ricalcolo dell’assegno tutto contributivo: la possibilità di cessare l’attività lavorativa anticipatamente verrà controbilanciata da una riduzione nell’importo da percepire, che varierà dal 13 al 31%. Essenzialmente, un’estensione dell’ “Opzione Donna”, che tra l’altro dovrebbe scadere il 31 dicembre assieme a Quota 102.

La legge Fornero

Senza un intervento in extremis del prossimo Governo, dal 1° gennaio 2023 la Legge Fornero tornerà in vigore: si potrà andare in pensione a 67 anni di età ed almeno 20 anni di contributi oppure dopo 42 anni e dieci mesi di contribuzione (un anno in meno per le donne). Gli unici a potere anticipare i tempi di uscita dal lavoro saranno i dipendenti appartenenti a determinate categorie professionali, ritenute particolarmente stressanti. La categoria potrà includere tutti i lavoratori della scuola e non solo i docenti maestri a contatto con gli alunni più piccoli, già comunque giustamente considerati.

Le alternative per sciogliere il nodo pensioni

Il nuovo governo a guida centrodestra in ogni caso sta pesando anche a possibili alternative per sciogliere l’annoso nodo delle pensioni. Da Berlusconi che si concentra sulle pensioni minime tutte a mille euro passando Lega che spinge a scendere a Quota 41, fino alla Meloni che punta a congelare l’età d’uscita di vecchiaia a 67 anni per sempre, senza farla variare con l’aspettativa di vita.

Il costo del piano per il governo Meloni

L'esecutivo dovrà fare i conti comunque con la voce dei sindacati e con una possibile concertazione. Ma sopratutto dovrà valutare l'impatto sulla spesa da sostenere, tra emergenza energetica, crisi del lavoro e una recessione alle porte. Si prevede che la spesa pensionistica a fine 2025 sarà il 17,5% del Pil, due punti sopra a quelli attuali, circa 350 miliardi, 100 in più di dieci anni fa.

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