Pensioni, cos’è la proposta di quota 67 più 25 e quando si potrebbe lasciare il lavoro
Sul tavolo del governo tra poche settimane torneranno le pensioni, in vista della manovra di fine anno che già a fine estate dovrà essere approntata. Negli scorsi giorni è circolata una proposta che viene dal centro studi Itinerari previdenziali: alzare i requisiti per la pensione di vecchiaia in modo da rendere il sistema più sostenibile. Non è un mistero infatti che la previdenza italiana abbia un problema di fondi che potrebbe peggiorare man mano che la popolazione invecchia. La proposta quindi è del sistema 67+25: almeno 67 anni di età e almeno 25 anni di contributi (invece dei 20 attuali) per lasciare il lavoro. Premiando chi decide di restare più a lungo.
Cosa ha detto il governo Meloni finora sulle pensioni
Con la legge di bilancio varata a fine 2023, il governo di Giorgia Meloni ha deciso di tirare il freno sui pensionamenti anticipati, riconfermando quota 103 (pensione con 62 anni di età e 41 di contributi) ma con importi più bassi e requisiti più stringenti. Nel corso degli ultimi mesi poi si sono rincorse diverse possibilità, tra cui la promessa elettorale della Lega di rilanciare quota 41 (41 anni di contributi a prescindere dall'età), ma questo porterebbe certamente ad assegni ridotti.
Cosa prevede quota 67 più 25
L'idea lanciata da Alberto Brambilla e Antonietta Mundo (rispettivamente presidente del centro studi Itinerari previdenziali e componente del Comitato scientifico dello stesso centro) è incentrata sulla "flessibilità". L'intenzione infatti sarebbe quella di permettere di lasciare il lavoro con più libertà dai 63/64 anni fino ai 72 anni di età. Con la premessa, però, che chi va in pensione prima dei 67 anni otterrebbe un assegno più basso.
In più, il requisito per ottenere la pensione di vecchiaia si alzerebbe: non più 67 anni di età e 20 di contributi, ma 67 anni di età e 25 di contributi. Cinque anni di lavoro in più, quindi, per ottenere l'assegno pieno. Certo, se questa proposta venisse poi trasformata concretamente in legge sarebbe una brutta sorpresa per chi è appena arrivato a 67 anni più 20 di contributi, e si troverebbe a lavorare per altri cinque anni. Ma al momento si parla ancora di proposte sulla carta, lontane dall'essere messe in pratica.
Un requisito aggiuntivo è che per andare in pensione bisognerebbe aver maturato un assegno pari almeno a 1,5 volte l'assegno sociale. Per il 2024, questo vorrebbe dire una pensione di circa 800 euro al mese. Questa soglia minima verrebbe fissata per evitare che una persona decida di lasciare il lavoro troppo presto e si trovi poi in povertà più avanti.
L'obiettivo in generale è far sì che le pensioni vadano erogate per meno anni, per rendere la situazione più sostenibile dal punto di vista economico. Non a caso, tra le proposte del centro studi c'è anche quella di aumentare l'assegno previdenziale per chi resta al lavoro anche dopo i 67 anni. Una linea chiara: penalizzazioni per chi va in pensione prima, premi per chi lo fa dopo (il centro aveva già proposto un ‘superbonus in busta paga‘ per chi lascia il lavoro a 71 anni). Resta da vedere se il governo deciderà di sposare questo approccio nelle sue prossime riforme.