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Pensioni anticipate, flop del governo Meloni: dopo la stretta sui requisiti molti preferiscono aspettare

Dopo il picco con il lancio di Quota 100 nel 2019, è scesa la percentuale di lavoratori che approfittano della pensione anticipata invece di aspettare quella di vecchiaia. La discesa è continuata con le strette sui requisiti imposte nelle ultime due leggi di bilancio dal governo Meloni. Lo mostra il nuovo monitoraggio Inps sui flussi di pensionamento.
A cura di Luca Pons
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Cinque anni fa, per i pensionati che sceglievano di lasciare il lavoro in anticipo erano quasi il doppio di quelli che aspettavano di maturare i requisiti di vecchiaia previsti dalla legge Fornero. Oggi, le pensioni anticipate sono leggermente meno di quelle di vecchiaia. Negli ultimi due anni, il governo Meloni – che aveva promesso di aumentare la flessibilità del pensionamento, mentre la Lega si impegnava a superare del tutto la riforma Fornero – ha ristretto l'accesso alle pensioni anticipate. Il risultato è che un numero sempre maggiore di lavoratori preferisce, a quanto sembra, restare al lavoro e aspettare. Il dato emerge dal nuovo monitoraggio Inps sui flussi di pensionamento.

Nel 2019, anno in cui il primo governo Conte lanciò Quota 100, per ogni cento pensionati che sceglievano l'assegno di vecchiaia (maturato a 67 anni di età) ce n'erano 191 che utilizzavano una forma di anticipo pensionistico. Quasi il doppio, come detto. Negli anni successivi questo dato è calato stabilmente: nel 2021 i pensionati ‘in anticipo' erano 141 per ogni cento pensioni di vecchiaia, nel 2022 erano 123.

Nel 2023, il primo anno regolato da una legge di bilancio del governo Meloni, i due gruppi erano arrivati in perfetta parità. Nei primi sei mesi del 2024, c'è stato il sorpasso: ora per ogni cento pensioni di vecchiaia ce ne sono 97 anticipate. Sembra evidente quindi che negli ultimi anni, dopo il ‘boom' legato forse anche all'offerta vantaggiosa di Quota 100, molti siano tornati ad aspettare di raggiungere i 67 anni di età per lasciare il lavoro con un assegno più ricco, come avveniva nel periodo precedente al 2019.

D'altra parte, con l'ultima legge di bilancio il governo Meloni ha reso più complicato lasciare il lavoro in anticipo. I requisiti di Quota 103 ad esempio sono diventati più restrittivi. Da un parte l'assegno ricevuto è ridotto, perché viene ricalcolato interamente con il metodo contributivo. Dall'altro, la finestra di attesa per ricevere l'assegno è aumentata: 7 mesi per i privati e 9 mesi per i dipendenti pubblici, invece di 3 mesi e 6 mes rispettivamente. Chi ha maturato i requisiti all'inizio del 2024, quindi, solo a luglio o a settembre può iniziare a ricevere i pagamenti.

Un caso a parte è poi quello di Opzione donna, la formula che permette alle lavoratrici di lasciare il lavoro in anticipo. Il governo Meloni ha cambiato e estremamente stringenti i requisiti, rendendola una misura quasi marginale: se le pensionate con Opzione donna erano state poco più di 20mila all'anno nel 2021-2022, il numero è crollato a 11.500 nel 2023. Fino alle sole 2.100 adesioni registrate nei primi sei mesi di quest'anno.

Con l'inasprimento dei requisiti, non è un caso che lo stesso monitoraggio Inps mostri che l'età media di chi va in pensione anticipata è aumentata, anche se di poco: per i dipendenti del settore privato è salita da 61,1 a 61,2 anni, mentre per la pensione di vecchiaia è rimasta la stessa a 67,3 anni. A queste condizioni – con un'attesa più lunga e un assegno più basso – l'offerta del pensionamento anticipato diventa sempre meno convincente. Il contrario di quello che il centrodestra aveva dichiarato prima delle ultime elezioni, quando aveva promesso di rendere più flessibile l'uscita dal lavoro. Nelle ultime settimane la Lega è tornata a insistere sull'ipotesi di Quota 41, che offrirebbe un assegno ridotto a tutti coloro che raggiungono i 41 anni di contributi: resta da vedere cosa sarà possibile inserire nella prossima manovra, considerando che i fondi scarseggiano.

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