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Pensioni 2025, perché saranno più basse dal prossimo anno: chi ci perde e cosa cambia

Dal 1° gennaio 2025 scattano i nuovi coefficienti di trasformazione per gli assegni delle pensioni. Detto in parole povere, significa che a parità di contributi versati e di età chi lascia il lavoro l’anno prossimo avrà un assegno più basso di chi lo ha fatto quest’anno. Il motivo è che nel frattempo l’aspettativa di vita è aumentata. Chi è già in pensione invece non deve preoccuparsi, e riceverà un aumento sulla base della rivalutazione per l’inflazione.
A cura di Luca Pons
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L'anno prossimo, gli assegni delle pensioni saranno leggermente più bassi. Non è una novità: è l'effetto di un meccanismo che avviene ogni due anni, per adeguare l'importo delle pensioni all'aspettativa di vita. In sostanza, poiché ci si aspetta che i futuri pensionati vivano di più, e quindi ricevano l'assegno per più tempo, si abbassa l'importo. Concretamente, questo avviene con un cambio dei coefficienti di trasformazione, aggiornati ogni due anni dal ministero del Lavoro con un decreto. È lo stesso sistema che si usa per aumentare l'età pensionabile, cosa che però quest'anno non avverrà – se ne riparlerà nel 2027.

Perché le pensioni diventano più basse dal 2025 in base all'aspettativa di vita

Il sistema dei coefficienti di trasformazione è stato varato nel 1996 con la legge Dini, e nel 2011 la riforma Fornero lo ha modificato. Dal 2021, ogni due anni (prima succedeva ogni tre anni) gli importi delle nuove pensioni vengono aggiornati per tenere conto dell'aspettativa di vita. Il coefficiente si usa per calcolare quanto sarà alto l'assegno mensile, a partire da tutti i contributi accumulati nel corso della vita lavorativa (il cosiddetto montante contributivo, che a sua volta viene rivalutato ogni due anni).

Il coefficiente è diverso anche in base all'età, come è normale considerando che si deve adattare all'aspettativa di vita. Chi ha 57 anni quando lascia il lavoro, quindi, ne ha uno diverso (e più basso) rispetto a chi ne ha 70. Il motivo, come detto, è che la stessa quantità di contributi deve bastare per diversi anni in più di pensione, e perciò l'assegno mensile deve essere più basso.

I coefficienti da quando esistono sono sempre aumentati nel tempo, con l'unica eccezione del biennio 2023/2024. Qui, a causa della pandemia, nei due anni precedenti l'aspettativa media di vita in Italia si era abbassata, e per questo gli assegni delle pensioni hanno visto un leggero aumento. Ma nel giro di pochi anni la situazione è tornata alla normalità. L'età media nel 2023 era di 83,1 anni, ancora leggermente al di sotto del 2019 (83,2 anni) ma comunque ben più alta rispetto agli anni della pandemia.

Chi ci perde di più con l'aggiornamento dei coefficienti

A essere interessati sono i nuovi pensionati. Chi andrà in pensione dal 1° gennaio 2025 in poi, fino a fine 2026, vedrà il suo assegno calcolato con i nuovi coefficienti, più svantaggiosi. Per chi è già pensionato invece non cambierà nulla. Anzi, gli assegni che già vengono erogati cresceranno sulla base dell'inflazione.

Ad esempio, considerando un lavoratore che abbia 400mila euro di contributi accumulati, se lascia il lavoro nel 2024 all'età di 67 anni senza particolari anticipi pensionistici avrà diritto a una pensione annuale da 22.892 euro. Se lo fa, alla stessa età, nel 2025, la pensione varrà invece 22.432 euro. Si parla quindi di 460 euro euro in meno, quasi 40 euro al mese. Prima si va in pensione, meno la differenza è marcata: per un 62enne si parlerebbe di ‘solo' 348 euro in meno all'anno, 29 euro al mese.

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