Pene aumentate per i No Ponte e carcere per studenti che fanno sit-in: così il governo blocca il dissenso
Il governo Meloni conferma linea liberticida anti-dissenso. Il disegno prende forma, e nuovi tasselli si aggiungono al puzzle. Se si protesta contro le grandi opere si rischia il carcere, fino a quasi 27 anni. È in arrivo un'aggravante del reato di resistenza a pubblico ufficiale, per cui "se la violenza o minaccia è commessa al fine di impedire la realizzazione di un'opera pubblica o di un'infrastruttura strategica, la pena è aumentata".
La stretta del governo, che mira a colpire evidentemente chi prova a opporsi alla Tav o al Ponte sullo Stretto di Messina, è possibile grazie al ddl Sicurezza, in particolare grazie a un emendamento della Lega all'articolo 14 del provvedimento, approvato ieri dalle commissioni riunite Giustizia e Affari costituzionali della Camera, sottoscritto dopo una riformulazione anche da Fdi e Forza Italia. Intanto l'approdo del ddl Sicurezza in Aula è slittato dal 25 luglio al 5 agosto, per cui il via libera da Montecitorio non arriverà prima di settembre. Ma le ultime novità non lasciano dubbi rispetto al progetto della maggioranza, e in particolare al progetto del ministro dei Trasporti, Matteo Salvini.
L'emendamento, a prima firma Igor Iezzi, lo stesso parlamentare che ha aggredito in Aula il deputato M5s Donno qualche settimana fa, punta ad aumentare le pene "se la violenza o minaccia è commessa al fine di impedire la realizzazione di un'opera pubblica o di un'infrastruttura strategica".
Per le opposizioni è un chiaro bavaglio preventivo alle proteste sul Ponte sullo Stretto di Messina. Il testo come dicevamo è stato riformulato, in una versione più soft che conferma la sostanza ma ne mitiga gli effetti: invece dell'aggravante a effetto speciale che può incrementare le pene fino a due terzi, introduce l'aggravante comune le cui pene possono essere aumentate fino a un terzo, bilanciandole con le circostanze attenuanti.
Questo emendamento va messo in relazione con un altro, passato nella giornata di martedì, che introduce"circostanze aggravanti" per chi commette i reati "all'interno o nelle immediate adiacenze delle stazioni ferroviarie e delle metropolitane o all'interno dei convogli adibiti al trasporto di passeggeri". L'emendamento anche in questo caso è a prima firma del capogruppo della Lega Igor Iezzi. E sempre all'interno del ddl Sicurezza c'è una norma contro i blocchi stradali e ferroviari, all'articolo 11, che prevede il carcere per chi col proprio corpo, manifestando in modo pacifico, blocca una strada o una ferrovia. Praticamente una norma pensata e scritta contro gli studenti che vogliono fare un sit-in davanti una scuola.
Si tratta di una modifica del reato di blocco stradale e ferroviario da amministrativo a penale. In particolare l'articolo 11 del ddl interviene sull'articolo 1-bis del dlgs del 22 gennaio 1948, n. 66, relativo all'impedimento della libera circolazione su strada, che sanziona amministrativamente "colui che impedisce la libera circolazione su strada ordinaria, ostruendo la stessa con il proprio corpo". La sanzione da amministrativa si trasforma in penale, e si rischia la reclusione fino a un mese. Ma se si tratta di proteste di gruppi, la pena sale fino a due anni di carcere.
Secondo il sottosegretario all'interno Nicola Molteni, Lega, l'emendamento passato ieri per chi protesta contro le grandi opere infrastrutturali, "Più che no Ponte è no Tav: non si sanziona il dissenso ma la violenza o la minaccia" nei confronti degli agenti. "Si può dissentire ma nel rispetto delle regole noi non ce la prendiamo con i manifestanti ma con i violenti".
Il quadro che emerge fino ad ora dall'esame del ddl Sicurezza però è preoccupante, e va nella direzione di silenziare chi prova a ostacolare i piani dell'esecutivo e del ministro Salvini. "È chiaro il tentativo da parte della maggioranza di impedire il più possibile l'espressione del dissenso. Questo è stato evidente ieri, con l'approvazione dell'emendamento a prima firma della Lega che aumenta le pene per chi mette in campo minacce o violenze nei confronti delle forze dell'ordine, nel caso in cui quelle manifestazioni siano contro opere pubbliche o infrastrutture strategiche. Si tratta di una modifica che va ben oltre la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, del quale non esiste nemmeno una pietra. Rientra in una logica ispirata dal ministro dei Trasporti, come dimostra anche l'emendamento che accresce le pene per chi commette un reato nelle stazioni ferroviarie. Come se commettere un reato in quei luoghi fosse più grave di commetterlo alla pensilina di un autobus o per strada", ha detto a Fanpage.it il Matteo Mauri, deputato del Partito democratico ed ex viceministro dell'Interno, con delega alla Sicurezza pubblica, che ha ricordato anche la norma approvata la scorsa settimana dalla maggioranza, che prevede appunto la stretta contro i blocchi stradali e ferroviari.
"Ognuna di queste norme di per sé è grave, ma se le mettiamo tutte insieme ci rendiamo conto che sono piccoli pezzi di un puzzle, che compongono un disegno pericoloso e antidemocratico. Le norme per sanzionare chi minaccia un agente ci sono già, e ci mancherebbe. Ma qui siamo oltre, è evidente che è solo una scusa per nascondere il vero obiettivo del governo, che non fa altro che aumentare le pene e inventare nuovi reati, i modi peggiori per garantire la sicurezza. Il governo usa strumentalmente la sicurezza degli agenti, che è invece una questione molto seria", ha aggiunto.