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Pd come Partito Democratico o UA come Unica Alternativa?

Il partito, la coalizione, la compagine di centro sinistra tenta il grande passo dell’autonomia, a dispetto di una dipendenza alla parte opposta che è stata leit motiv degli ultimi quindici anni. Ce la farà o resterà schiava del “menopeggismo”?
A cura di Andrea Parrella
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Assemblea Nazionale Partito Democratico PD

Il primo astenuto che abbia conosciuto mi disse una frase trita e ritrita: mi rifiuto di votare a sinistra solo per non votare Berlusconi, non cedo a questo ricatto. In effetti il bipolarismo spinto ha portato a questo, la logica malata secondo la quale non votare significava, in fondo, dare un voto a chi alla fine avrebbe vinto. E' stato un'ottima forma di contenimento dell' astensione coatta e massiccia dal voto, poiché molti verso questa scelta si facevano e si fanno condurre dal malcontento, la rabbia, più che da una cronica disillusione, che è invece di pochi.

Sabato il Pd ha provato a decidere da solo del suo destino con un'assemblea che tenta di gestire la forza d'urto del movimento renziano, senza tuttavia  sopprimerla, visto l'effetto defibrillatore che sortisce sul partito; di fatto, ha cambiato le sue regole interne. E' uno scossone, un apparente gesto di autonomia, che fa concettualmente a cazzotti con la fervida e costante impressione che la compagine necessiti di un punto d'appoggio, un supporto su cui fare leva per tirare fuori la testa, che in sostanza viva di luci e ombre riflesse. Il Pd sembra portarsi addosso pesantemente quell'identità parlamentare di una sinistra molto a sinistra che trovava il senso di sé solo stando all'opposizione, essendo quello, di fatto, il ruolo in cui riusciva a fare ciò che doveva fare: cioè la voce fuori campo. Credere che per stare vicino ai più deboli non si debbano avere ruoli di potere.

Ovviamente qui si parla di tutt'altro, nulla a che vedere con rigurgiti sinistrorsi, solo la manifestazione di un presentimento, che detto banalmente rievoca un modo di dire: chi nasce tondo non muore quadro. Il Pd nasce così, come un'alternativa, un baluardo di parti diverse (e divergenti) incollate a forza tra loro per mezzo di un unico collante, che è sempre stato efficace finché ha conservato vigore e freschezza, quel Berlusconi che non si scorda mai. Non dunque, salvo alcuni sprazzi di entusiasmo come i primordi o almeno i propositi primordiali, una forza valida e motivata, capace di smuovere coscienze, ma qualcosa con grandi aspirazioni che non è stata capace di realizzarsi a fondo. Ci sono buoni motivi per credere che la forza oppositiva di Berlusconi abbia contribuito a tenere unito il Pd per costrizione, mancanza di alternativa, facendo contemporaneamente in modo che mai si curassero le divergenze croniche.

Anche adesso, oggi, a mantenere incollati i pezzi di questa macchina lenta e affannata, è un pericolo che con Berlusconi ha a che fare, ma con dimensioni e modalità diverse. A Bersani e molti altri in questi giorni, piace tanto chiamarla balcanizzazione, sarebbe in sintesi una frammentazione estrema del panorama politico, in tante minuscole parti, troppe per permettere a qualcuno di ottenere una seria maggioranza per governare. Nel caso specifico, condurrebbe ad una situazione perfetta affinché Mario Monti venga reingaggiato. La balcanizzazione è causata dalla generale instabilità, che qui da noi è una costante, mentre altrove sarebbe d'entità eccezionale. La campagna elettorale, dunque, fatta in maniera vile, sarebbe l'ennesima corsa a farsi votare come meno debole, situazione in cui il centrosinistra impera. Significa che il problema di fondo rimarrebbe sempre quello in seno, vale a dire concessione alla liceità di orientarsi ‘verso l'azione politica del menopeggismo, scacciando la necessità di sanare ferite interne che, da sempre, impediscono al centro sinistra di governare per un'intera legislatura. L'ipotetico slogan: instabilità per instabilità, vota la nostra!

Al contrario Renzi, Vendola ed in generale il nuovo sistema di primarie che apre ad una coalizione sì con opinioni divergenti, ma che scaccia le drastiche divisioni, potrebbero impedire il costante trascinarsi, garantire la necessaria spinta al partito per essere propositivo e non attendista, arrendevole o, più che altro, floscio. Allo stesso tempo conserva un'energia potenziale che, se non maneggiata con cura, potrebbe distruggere il partito con tutto l'elettorato al seguito. Detta alla Gianfranco Fini, le primarie per il Pd sono un fatto positivo, ma assolutamente autolesionista. A questo punto, è più auspicabile che non si verifichi il botto, o che una volta per tutte ci si prepari ad accoglierlo per attutirlo? Alla fine di questa corsa due alternative: potremo finalmente ritenere il Partito Democratico come qualcosa di organico o autonomo, oppure saremo costretti  a rinominarlo, definitivamente, con un altro acronimo: UA come Unica Alternativa.

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