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Opinioni

Patrimoniale e crescita: chi ha paura dell’equità?

Da mesi gli stessi concetti e le stesse buone intenzioni: crescita, taglio delle tasse, eliminazione degli sprechi, equità. Ma questo Governo ha la forza per affrontare davvero le riforme?
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Monti-Passera-tasse

Ormai non possa giorno senza che un opinionista, un analista, un parlamentare di opposizione, un ministro o un "semplice tecnico" non rivelino la "causa di" e la "soluzione a" tutti i mali del nostro Paese. In soldoni ed evitando di sciorinare le centinaia di varianti che affollano media e quotidiani, il problema centrale è l'eccessiva pressione fiscale che bloccherebbe la crescita economica e che è determinata sia dall'iniquità delle manovre messe in atto negli ultimi anni, sia dagli sprechi della macchina politico – burocratica – istituzionale del nostro Paese. Va da se che la stragrande maggioranza degli opinionisti sa benissimo che la questione è molto più complessa e che i modelli analizzati e le soluzioni proposte si adattano con grande fatica alla realtà italica. Così come è abbastanza evidente che la formula magica dei "tagli alla spesa pubblica" lungi dall'essere la "panacea di tutti i mali", rappresenta una opzione già fin troppo praticata e dagli effetti a medio – lungo periodo potenzialmente disastrosi. Resta ovviamente il complesso dei provvedimenti fin qui adottati dal Governo, incluso il pasticcio sul pareggio di bilancio in Costituzione (per non parlare degli impegni presi in sede europea, con "sanguinose" manovre ipotecate per gli anni a venire), di cui abbiamo già parlato ampiamente. E resta soprattutto la sensazione di una "continua propaganda", con concetti che finiscono con l'essere continuamente svuotati del loro senso originario e ricomposti in ragione di "altri interessi".

Una missione impossibile? – Ma lo spazio della riflessione non può certamente esaurirsi in questo modo, anche nella considerazione che su fanpage fa Luca Spoldi, ovvero sul quanto sia "oggettivamente difficile se non impossibile “riformare sotto le bombe” come efficacemente spiegano alcuni economisti e mentre resta immutato il numero e la “qualità” dei sostenitori dell’attuale governo, quegli stessi deputati e senatori che non sono riusciti (e in molti casi manco hanno provato) a varare alcuna riforma strutturale degna di nota in questa legislatura né in quelle precedenti". E se non c'è dubbio che la questione dirimente sia relativa ad una "redistribuzione" della pressione fiscale, davvero varrebbe la pena chiedersi cosa si intende per tagli alla spesa pubblica e fino a che punto è accettabile che passi senza colpo ferire l'idea di due Paesi opposti e in conflitto fra loro: da una parte quello agganciato alla macchina statale, parassitario e succhiasoldi, dall'altro quello dei professionisti, degli imprenditori e dei lavoratori dipendenti tartassati e sfruttati. Intendiamoci, nessuno nega che i livelli di pressione fiscale in alcuni settori rappresentino un vincolo anche a potenziali espansioni, tuttavia quella che ci sentiamo di rigettare è la cara, vecchia retorica del "meno tasse per tutti" e della "riduzione della spesa pubblica ad ogni costo". Una cosa è l'eliminazione degli sprechi, un'altra l'impoverimento dei servizi, il taglio ai finanziamenti agli enti locali, il tiro al bersaglio sui dipendenti pubblici. Tagliare con l'accetta non è razionalizzare, diminuire il flusso delle risorse senza eque e funzionali riforme strutturali non è sinonimo di "evitare gli sprechi" e porta con se un corollario quasi inevitabile nell'aumento della spesa per i servizi dei cittadini (con aggravi spesso insostenibili per i redditi medio – bassi).

Ripartire dai redditi, in tutti i sensi – E' chiaro però anche il concetto di "redistribuzione" del carico fiscale va interpretato e declinato in base a precisi riferimenti. Il rischio è che si imposti un ragionamento in funzione di un sistema di tassazione "meno progressivo" (l'Italia è al secondo posto fra le principali economie mondiali), la qual cosa non sembrerebbe essere l'ideale. Per avere un'idea dei possibili scenari, basta rileggersi lo studio di Greenstone e Looney sul sistema fiscale statunitense, tradotto da La Voce, che rivela come:

le cause della crescente disuguaglianza dei redditi sono da ricercare in larga parte nei mutamenti nei flussi commerciali e nella globalizzazione, negli avanzamenti tecnologici e in altri fattori economici ad ampio raggio. I cambiamenti hanno fatto crescere i redditi dei lavoratori specializzati e dei proprietari di capitali e di imprese, ma hanno indebolito o ridotto i guadagni di altri, per motivi che vanno al di là del loro controllo. Un sistema progressivo distribuisce i rischi dei mutamenti economici facendo sì che il prelievo fiscale a carico delle famiglie sia basato sulla loro capacità di pagare. Inoltre, la crescita della disuguaglianza di reddito si riflette anche in una crescente diseguaglianza dei consumi…

Dunque, se appare non rinviabile la messa in campo di provvedimenti atti a stimolare la crescita (pur nella consapevolezza della difficoltà di "agganciare il treno della ripresa"), allo stesso tempo non suoni strano tornare ad interrogarsi sulla necessità di "ripartire" i costi della crisi. E magari cominciando col rinforzare la lotta all'evasione e col ripensare ad una "vera" patrimoniale sui grandi patrimoni immobiliari e sulle rendite finanziarie (che resta, certamente, "complicata" come ebbe modo di dire lo stesso Monti). Con buonsenso e senza terrorismo, sia chiaro, ma con rigore ed equità. Quella vera.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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