Patrick Zaki è uscito.
Patrick Zaki da pochi momenti è fuori dal carcere e si apprende che non ha neanche l'obbligo di firma.
Vedere Patrick Zaki fuori dal carcere è di una bellezza sempre sperata ma fino a oggi mai raggiunta. Ora sì, è fuori anche se non è ancora libero.
Si è liberi quando si può andare dove si desidera, indossando le scarpe che si desiderano, e prendendo il primo aereo che si ha voglia di prendere.
Un aereo per piazza Maggiore, ad esempio, che ancora non puoi prendere.
Però da pochi istanti Patrick Zaki è finalmente fuori dal carcere.
Ha passato 669 giorni dormendo sul cemento del pavimento della prigione di Tora, e anche se la prossima udienza sarà il primo febbraio noi già lo sappiamo: sono stati 22 mesi che Patrick Zaki ha trascorso in carcere da innocente.
Caro Patrick Zaki, fermiamoci per un momento sulle cose belle: ben uscito da quel tugurio.
Il mondo fa schifo come quando sei entrato in carcere, anche se delle cose qui fuori sono cambiate: c'è stata la pandemia fra le cose brutte; ed è nato un movimento di persone in tutta Italia che ti ha aspettato. Questa è stata una cosa bellissima, io credo. Di più: questo movimento di persone – ancora prima della politica – ha ricordato al mondo che tu esistevi, che eri detenuto ingiustamente e che questo mondo ti aspettava.
Caro Patrick Zaki, una cosa è sicura: con te fuori, il mondo oggi è un posto più bello.
Caro Patrick Zaki, ben ritrovato, ci sei mancato.
Sei mancato ai tuoi amici e alle tue amiche a Bologna.
Ai professori.
Alla tua famiglia.
E sei mancato a tutti noi che ti abbiamo conosciuto per un accidente: il tuo arresto e la tua lunghissima detenzione.
Sarebbe stato meglio non avessimo mai saputo della tua esistenza, avrebbe significato la tua libertà, la tua vita da studente a Bologna senza interruzioni. E magari oggi saresti laureato.
Però l'incidente c'è stato e noi non vogliamo scordarlo.
Caro Patrick Zaki, abbiamo imparato a conoscerti dai racconti di tua sorella, che insieme a vostra mamma passava il venerdì a preparare le cose da portarti in carcere il venerdì, e poi il sabato in fila davanti alla prigione, in fila per ore senza poter parlare con nessuno, le regole erano chiare: di fronte al carcere non si parla, si aspetta soltanto un segnale dalla guardia carceraria, un segnale che può arrivare anche ore e ore dopo.
Caro Patrick Zaki, abbiamo imparato a conoscerti dalle tue lettere che ci hanno tolto il fiato, e poi ce lo hanno restituito per continuare a chiedere giustizia in tuo nome e per la tua persona.
Abbiamo appeso gli striscioni, abbiamo coniato hashtag, aspettavamo i tweet di Amnesy International dopo ogni udienza, per 22 mesi.
Ricordo quando in una lettera uscita dal carcere hai scritto "riportatemi in piazza Maggiore", oppure rivolto alla tua fidanzata "avevamo così tanti progetti e ora sono così tanto triste".
Ricordo quando hai scritto in una lettera, rivolto alla tua famiglia "mi scuso sinceramente perché avete sopportato l'insopportabile", e l'hai scritto da quel carcere maledetto e ingiusto, è stato un emblema della tua gentilezza.
E poi la depressione, ovvio, chiuso lì dentro. Sarebbe stato strano il contrario.
Caro Patrik Zaki, ora sei uscito ed è bellissimo vederti così.
Non ti molleremo, fino all'assoluzione piena. Il banco all'Università di Bologna ti aspetta, i tuoi libri ti attendono e non vediamo l'ora che tu possa tornare a lamentarti per un esame troppo vicino, o un insegnante non proprio all'altezza, o un paragrafo che non ti entra in testa neanche alla terza lettura.
Insomma cose normali, da cittadini liberi.
Buona aria, caro Patrick Zaki, e che non sia mai più soltanto per un'ora.