Patrick Zaki ha incontrato suo padre in carcere per la prima volta dopo sei mesi
Patrick Zaki, lo studente egiziano dell'Università di Bologna che si trova nel carcere di Tora dallo scorso febbraio, ha incontrato oggi suo padre per la prima volta dopo sei mesi. La notizia è stata data dalla rete degli attivisti della pagina Facebook ‘Free Patrick‘.
"Patrick – si legge – vede suo padre per la prima volta in più di sei mesi e manda le sue congratulazioni alla sua classe di laurea! La madre e il padre di Patrick gli hanno fatto visita questa mattina nella sua struttura di detenzione, suo padre lo ha sorpreso visitandolo per la prima volta in più di sei mesi a causa dei suoi problemi di salute che gli rendono estremamente difficile sopportare la visita sia fisicamente che mentalmente. Sia Patrick che suo padre erano molto felici di incontrarsi finalmente, nonostante l'orribile situazione in cui si trovano".
"L'incontro – continuano gli attivisti – è stato certamente travolgente per tutti loro, soprattutto perché Patrick ha potuto constatare quanto la salute di suo padre sia peggiorata dall'ultima volta che lo ha visto. Voleva congratularsi con la sua classe del Master GEMMA che sta per laurearsi tra un mese. Conosce a memoria tutte le date dei suoi studi, possiamo solo immaginare quanto sia difficile per lui sapere che dovrebbe laurearsi ora insieme ai suoi compagni di classe invece di essere in prigione".
"Eppure, come sempre, Patrick trova ancora nel suo cuore la forza di essere felice per i suoi amici e di augurare loro il meglio. Vorremmo ricordare a tutti che il suo programma è un programma di due anni, di cui Patrick ha frequentato solo un semestre e il resto lo ha passato in prigione e chissà quando potrà continuare i suoi studi. Ringrazia anche i suoi amici di tutto il mondo e i suoi colleghi dell'EIPR, per tutto quello che stanno facendo per lui. Ribadiamo la nostra richiesta di rilascio immediato e incondizionato di Patrick Zaki, Patrick avrebbe dovuto laurearsi". Il giovane accusato di propaganda con fini terroristici sta ancora aspettando un processo.
La cittadinanza italiana a Zaki
Il Senato lo scorso 14 aprile ha approvato una mozione per conferire la cittadinanza italiana a Patrick Zaki. Il governo però si sta muovendo in un'altra direzione: "Il Parlamento è sempre libero di fare il percorso che ritiene più opportuno. Io credo in tutta sincerità che la questione della cittadinana non sia una vera chiave di successo di questa storia", ha detto Manlio Di Stefano (M5S), sottosegretario agli Esteri, su SkyTg24.
"Da parte egiziana verrebbe vista solo come un tentativo di ingerenza nelle loro logiche nazionali. Sarebbe per loro un tentativo da parte del governo italiano di sovvertire una realtà, ovvero che Zaki non è italiano". Secondo Di Stefano quindi il rischio è che alla fine venga percepito come un tentativo "di forzare un po' la mano. Il governo oggi, e come sempre, sta lavorando in silenzio perché è così che si risolvono le cose".
Secondo Tina Marinari di Amnesty International ci sarebbero altre vie oltre alla concessione della cittadinanza italiana: "La verità è che l'Italia potrebbe incidere sul caso Patrick Zaki in mille maniere diverse, non c'è bisogno di aspettare l'approvazione della cittadinanza. Lo sapete che la tutela consolare può essere concessa a chiunque, italiani e non?".
"Patrick Zaki è detenuto per dieci post su Facebook che non ha mai fatto. Perché l'Italia non prova a fare pressioni economiche sul regime di al-Sisi?", si chiede Marinari. Una soluzione, quella proposta da Amnesty, che potrebbe apparire lontana, considerando "la doppia morale dello Stato italiano, la cui firma, ad esempio, è sulle bombe saudite scagliate sullo Yemen, oltre che sulle fregate militari che continuiamo a vendere al regime egiziano". Lì, dice Marinari, sono temute le persone come Zaki, "viaggiatori del mondo, aperti alle altre culture, la vera spina nel fianco della repressione politica".
"In Egitto – continua Marinari – la detenzione preventiva può durare fino a due anni. Dobbiamo pensare che questo periodo viene scontato in prigioni dove le violenze e la tortura sono all'ordine del giorno. Non c'è solo la tragedia di Patrick. Penso ad Aser Mohamed, arrestato, torturato e detenuto per 34 giorni anche se aveva solo 12 anni. Ma può andare anche peggio di così, come nel caso del fotoreporter Shawkan. Una volta scaduti i due anni, è stato accusato di un altro reato, ed è tornato in carcere. Alla fine è rimasto nelle mani degli aguzzini per cinque anni, senza processo, prima di essere rilasciato".
Secondo Amnesty, nel 2020 in Egitto sono sparite più di 700 persone. E ancora: "In Egitto il 70% delle donne ha subito mutilazioni genitali – spiega Marinari – e ci sono attualmente 60.000 prigionieri politici. Spariscono tre persone al giorno di media. Scompaiono nelle galere del regime, accusati ingiustamente sempre degli stessi reati, per poi ricomparire davanti ai tribunali settimane, mesi a volte anni dopo l'arresto. Intanto, i prigionieri vengono seviziati, torturati e costretti a firmare confessioni false".