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Patria, identità nazionale e cultura del dovere: davvero abbiamo bisogno che siano insegnate a scuola?

Patria, identità nazionale e cultura del dovere. Non è proprio “Dio, patria e famiglia” però ci manca poco. Almeno l’alzabandiera, però, non è previsto.
A cura di Saverio Tommasi
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Giuseppe Valditara, Ministro dell'istruzione e del merito
Giuseppe Valditara, Ministro dell'istruzione e del merito

Patria, identità nazionale, cultura del dovere, a leggere le linee guida della nuova educazione civica, si può pensare a una lancetta dell'orologio incagliata a ottant'anni fa. Dalla nuova educazione civica del ministro Valditara manca soltanto l'alzabandiera, però non diciamolo a voce alta, potremmo dargli un'idea.

Questa nuova educazione civica è un orologio rotto che non segna l'ora esatta neanche due volte al giorno.

Facciamo un passo indietro: il ministro dell'istruzione e del merito (ohibò!) Giuseppe Valditara ha varato la nuova educazione civica, che dal prossimo anno dovrà essere insegnata nelle scuole. È agosto ma non è un colpo di calore, quelle idee fanno parte del curriculum di Valditara tutti i mesi dell'anno.
Lo ricordo quando inserì la parola "merito" nel nome del suo Ministero, poi dichiarò "l'umiliazione è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità", mandando al macero Maria Montessori e cent'anni di formazione scolastica e studi psicologici. Poi, parlando contro le classi piene di studenti stranieri, scrisse un post con un congiuntivo sbagliato.
Poi propose di sanzionare chi nelle scuole inneggiava ad Hamas, però fu molto più morbido con chi picchiava gli studenti davanti alle scuole. La preside della scuola Da Vinci di Firenze, che difese gli studenti della sua scuola e definì i picchiatori che li avevano assaliti "squadristi e fascisti", fu contestata da Valditara e minacciata di sospensione. Perché i fascisti, a chiamarli fascisti, non sta bene.

Facciamo un passo indietro: trentatre ore all'anno di studio di educazione civica, non moltissimo, però anche troppo se le materie sono un'anticipazione di quello che sta circolando in queste ore. Accanto al "contrasto alle mafie", e ci mancherebbe altro, troviamo infatti la promozione dell'impresa privata. Niente in contrario all'impresa privata, in generale, ma perché farla diventare materia di studio? Perché la valorizzazione della proprietà privata deve essere materia scolastica? Capisco che lo studio della collettivizzazione dei beni produttivi forse sarebbe un po' troppo, ma ci sono delle vie di mezzo: l'idea della condivisione fra pari, il mutuo aiuto, la crescita sociale di una società, il volontariato, il prestito libero, credo sarebbero stati ben più utili per formare cittadini e cittadine consapevoli, rispetto al guadagno economico attraverso l'utilizzo del lavoro dipendente.

Perché non spiegare che la nostra Costituzione è nata dalla lotta di liberazione partigiana, e il suo spirito è profondamente antifascista?

Nella nuova educazione civica, poi, nessun corso sull'affettività, sia mai che le corrette relazioni fra le persone possano essere considerate una cosa importante, devono aver pensato. Nessun percorso scolastico neanche sulla sessualità, considerata tabù, come se i bambini li portasse la cicogna, o il preservativo fosse troppo scomodo.
E invece scrivono di voler “rafforzare e promuovere la cultura del rispetto verso la donna”. Sì, ma come si fa a ottenerlo, se in una società martoriata dai femminicidi, dalla differenza salariale fra uomini e donne nonostante le leggi esistenti, non facilitiamo la comunicazione affettiva e relazionale già fra i banchi di scuola? Cosa significa, allora, "cultura del rispetto"? Nei fatti significherà probabilmente limitarsi all'omaggio, all'inchino, alla riverenza pubblica che però si accompagna alla sopportazione del catcalling, perché "l'uomo è uomo e deve fischiare, se non proprio puzzare".

Quale rispetto, se la strada dell'autodeterminazione delle donne è stata calciata via?

Ci sono parole che li fanno arrabbiare, questi della nuova educazione civica, però queste parole vanno dette: patriarcato, ad esempio. Non c'è nella nuova educazione civica del ministro Valditara. Però c'è la parola "patria", chissà poi come la intende il ministro. Se la patria liberata dall'oppressione nazifascista, con la bandiera italiana al collo dei partigiani liberatori, o quel "patrioti" somiglierà a quello sussurrato fra i nostalgici del tizio fotografato con il mento all'insù, che non possono più dirsi pubblicamente "fascisti", e allora si chiamano "patrioti"?

Io non so cosa potranno imparare le nuove generazioni, se queste sono le premesse. Spero però conservino una scintilla, di qualche anno prima, quando erano bambine e bambini. Il fuocherello della disobbedienza, perché nessuna novità è stata partorita da parole vecchie. Nessuna rivoluzione positiva è nata poggiandosi su discorsi del passato. Nessun cambiamento positivo è nato per ossequiosa corrispondenza di intenti con chi gestisce il potere e le linee guida. Per questo, se qualcosa mi auguro, è che i più giovani non manchino mai del gusto dell'esercizio della libertà, anche quella di scegliere da che parte volgere l'ascolto.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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