Chiedere agli italiani di scrivere Giorgia sulla scheda elettorale non è stata la prima vera operazione di marketing politico di questa campagna elettorale, ma certamente una delle più efficaci. Quel "detta Giorgia" sui manifesti elettorali, passaggio inutile sul piano formale dal momento che, regolamenti alla mano, le preferenze con la scritta "Giorgia" le sarebbero state attribuite comunque (data l'assenza di altre candidate con lo stesso nome di battesimo e la necessità di preservare la volontà dell'elettore), risponde però a una precisa strategia. La presidente del Consiglio ha capito che non avrebbe potuto che trarre vantaggi dalla personalizzazione della competizione ed ha agito di conseguenza. Tassello dopo tassello, Meloni ha finito con il determinare a più livelli la campagna elettorale delle Europee, dimostrando ancora una volta di poter dettare i ritmi e i temi del dibattito pubblico italiano.
La candidatura da presidente del Consiglio di per sé basterebbe a restituire l’idea di una verifica sull’operato del governo, ma nel caso del voto “per Giorgia” c’è anche dell’altro. Meloni non è solo la leader del primo partito italiano, ma anche dei Conservatori Europei, forza politica che ha ambizioni ben più ampie di quelle che i freddi numeri potrebbero autorizzare. L’obiettivo finale è noto da tempo: spostare verso destra l’assetto politico della UE, portando i conservatori al governo assieme ai Popolari, dunque marginalizzando i socialisti. Al momento, ECR non ha la forza per portare a termine questo compito e, numeri alla mano, appare complicato pensare che la prossima consiliatura europea sarà radicalmente diversa negli equilibri complessivi. Allo stesso tempo, i sondaggi segnalano che il vento soffia a destra e Giorgia Meloni vuole mettersi nella condizione di rivendicare un successo annunciato e di presentarsi come punto di riferimento credibile e autorevole per aggregare le forze alternative. Per far questo, non basterà il semplice boom di consensi per Fratelli d'Italia rispetto alle scorse Europee, servirà mettere sul piatto la valanga di preferenze personali della leader. Che arriverà, statene pur certi, anche per come stanno evolvendo le cose in queste settimane.
Il confronto televisivo è un problema degli altri
La dinamica che ha portato all’annullamento del confronto televisivo nel salotto di Bruno Vespa è esemplificativa di come questa sia una campagna elettorale egemonizzata dalla figura della presidente del Consiglio. Qualche settimana fa, Meloni ha individuato l’avversaria, legittimandola come sua principale oppositrice e aprendo un’ulteriore faglia nel campo largo. Ha poi scelto di giocare in casa, nel salotto di Bruno Vespa, consapevole di non rischiare nulla neanche dalla platea dei giornalisti che sarebbero stati invitati (potremmo dire che gode di discreta considerazione fra gli assidui frequentatori di Porta a Porta, ecco). Non si è fatta coinvolgere nelle polemiche sulla legittimità dell'operazione, lasciando che i giornali a lei più vicini evidenziassero le spaccature interne all'opposizione. E, infine, una volta saltato il confronto da Vespa, ha evitato qualunque apertura alla possibilità di una tribuna politica allargata, marcando una differenza sostanziale rispetto ai leader degli altri partiti.
Meloni aveva scelto Schlein con un obiettivo ben preciso: utilizzare il contrasto con le caratteristiche della leader del PD (di formazione, posizionamento politico e attitudine al dibattito) per mostrare il suo profilo moderato a un pubblico ben preciso, che probabilmente non ha ancora deciso se "fidarsi completamente" di Fratelli d'Italia. La strategia sarebbe stata semplice: la chiarezza sul programma di governo, il registro vittimista in caso di attacchi mirati (chiave del resto dell'intera comunicazione meloniana), la narrazione "dell'autenticità e del buonsenso" contro la linea progressista della leader del PD e, non da ultimo, il ribaltamento di prospettiva in modo da presentare Schlein come "donna delle elite" e lei come "donna del popolo". Non un azzardo, anche perché, dal canto suo, la leader democratica aveva tutto da guadagnare e immaginava di poter sorprendere ancora una volta gli scettici e coloro che la sottovalutano (come nel caso delle primarie contro Bonaccini).
Il punto è che se, come pare, questa opzione è venuta meno (si parla della possibilità di utilizzare esclusivamente i social, ma dubitiamo che le due intendano operare uno strappo di questa portata), Meloni non ha interesse alcuno ad accettare soluzioni che prevedano un allargamento del confronto: troppi i rischi, soprattutto quello di apparire "una voce fra tante", pochi i vantaggi, soprattutto in termini di consensi potenziali. Risultato? Ora il confronto è un problema che non riguarda più lei, che anzi, in un ribaltamento totale della realtà, può godersi le polemiche sulla par condicio, quasi fosse parte lesa.
Le passerelle elettorali che oscurano l'anomalia della candidatura
Del resto, non era difficile prevedere che avremmo assistito a una campagna elettorale del tutto particolare. L'anomalia di una presidente del Consiglio in carica che si candida capolista in tutte le circoscrizioni per non farsi eleggere al Parlamento Europeo è tale da falsare l'intera partita. Basta guardare la Rai per qualche giorno. Meloni parla a un tempo da capo del governo e candidata, da leader di partito e leader di ECR, da donna e madre che rappresenta i problemi dei cittadini a parlamentare che dovrebbe risolverli. Ogni sua apparizione pubblica gioca su questa ambiguità, compresa l'incredibile scelta di accogliere con tutti gli onori Chico Forti al rientro in Italia. In tal caso, Meloni ha preferito la photo opportunity a una scelta più consona per chi guida un Paese. Lo ha fatto consapevolmente, intendiamoci. Perché tutto si inserisce nello stesso frame comunicativo: quello della donna che "è rimasta sempre la stessa" e non si piega alle logiche del potere. Dunque, accogliere in pompa magna un condannato in via definitiva per omicidio da problema si trasforma in opportunità: quella di strizzare l'occhio a quella parte di opinione pubblica innocentista, anche se ciò comporta sopportare l'irritazione degli ambienti diplomatici statunitensi. E può farlo senza che emergano incongruenze o autorevoli voci di dissenso che oscurino l'operazione complessiva.
Del resto, l'egemonia meloniana in questa campagna elettorale è resa possibile anche da elementi contestuali. La condizione del sistema televisivo e informativo pubblico, per cominciare. La compiacenza di larga parte degli operatori dell'informazione, per continuare. Ma soprattutto, in maniera decisiva, la situazione degli altri partiti (di cui parlavamo qui e qui), frenati, limitati, lacerati e preda di mille contraddizioni (ad esempio, come polemizzare sull'opportunità della candidatura di Meloni, quando quasi tutti i leader hanno scelto di candidarsi per un incarico che mai ricopriranno?). Ora tutti a inseguire, pronti a rivendicare qualche punto percentuale in più o un'eventuale leggera flessione di Fratelli d'Italia nella partita delle Europee. Ignari però che il punto è un altro: a dare le carte è sempre Giorgia Meloni.