Passano gli anni, cambiano i governi, ma l’Italia non rinuncia agli F-35
Negli ultimi giorni si parla parecchio della dichiarazioni del neoeletto presidente Usa Donald Trump sui "costi fuori controllo" del programma sugli F35. "Miliardi di dollari possono e saranno risparmiati su acquisti militari" e di "altro genere" dopo il 20 gennaio (quando cioè il tycoon assumerà formalmente l’incarico presidenziale), ha scritto su Twitter Trump.
A prescindere se si tratti dell'ennesima uscita del neo presidente o di un proposito che verrà portato a termine, di vero c'è che il programma sugli F-35 è controverso e anche oggettivamente costoso. Anche l'Italia – a differenza, ad esempio, di Francia e Germania – destina una parte della spesa pubblica a questi caccia, e non sembrerebbe proprio volerci rinunciare.
Secondo il primo Rapporto annuale Mil€x, realizzato dall’Osservatorio sulle spese militari italiane – un'iniziativa indipendente di esperti del Movimento nonviolento nell’ambito delle attività di Rete italiana per il disarmo – la spesa militare dell'Italia nel 2017 raggiungerà i 23,4 miliardi di euro (+ 0,7 % rispetto al 2016), 64 milioni di euro al giorno, 2,7 milioni all’ora, 45 mila euro al minuto. E questo nonostante le dichiarazioni del ministro della Difesa Roberta Pinotti secondo cui "negli ultimi anni le risorse per le Forze armate sono continuamente diminuite e solo quest’anno siamo riusciti a invertire la tendenza".
In queste spese rientra anche l'oneroso programma dei caccia F35 per cui, come spiega il rapporto, l'Italia prosegue il suo impegno dal 2009 – per 131 caccia poi ridotti a 90 nel 2012 – con un budget complessivo risalito a 13,5 miliardi. Per pagarli, Mil€x spiega che il governo ha acceso mutui con interessi per circa il 30 per cento del capitale e contratti con vari istituti di credito.
Nonostante gli appelli delle associazioni e la richiesta del Parlamento (a fine 2014) di dimezzare il fondo, "la Difesa non ha operato alcuna modifica, se non una dilazione delle acquisizioni, e il budget è anzi aumentato", si legge nel rapporto. Insomma, l'impegno per i 90 caccia è più che confermato. L'osservatorio indica come siano stati firmati ordini per otto supercaccia e versati acconti per altri sette. Secondo Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana Disarmo, questa conferma nel 2015 ha significato che la mozione per il dimezzamento presentata due anni fa "non è stata tenuta in alcuna considerazione". Dall'altro lato, "per il nostro Paese questo programma di armamento è il più costoso di tutta la storia. Senza contare che coinvolge una serie di problematiche tecniche prevedibili in progetti così complessi".
Assieme al deputato di Sinistra Italiana Giulio Marcon, Vignarca è autore di un opuscolo dedicato agli F-35, intitolato "Una follia lunga vent'anni", in cui viene ripercorsa la genesi del programma, nato sotto governi di centro-sinistra e transitato senza troppi problemi in quelli di centro-destra. Sotto l'esecutivo di Mario Monti ha subito una riduzione il numero di cacciabombardieri da acquistare, da 131 a 90. "Attualmente ne abbiamo prodotti (gli ultimi non ancora completati) ben nove", scrivono gli autori.
La previsione di 90 caccia è sicuramente sovradimensionata rispetto all'Italia. Perché dunque questi numeri? Lo scopo, secondo il rapporto Milex, è promuovere una futura vendita all'estero. Una spiegazione che si ritrova anche nel documento con cui la Difesa ha ottenuto a ottobre l'ok all’acquisto di carri armati ruotati Centauro 2 della Iveco-Oto Melara: "La produzione estensiva di sistemi per il cliente nazionale è il pre-requisito di referenza indispensabile ad ogni opportunità di vendita all’estero". Circa la sproporzionatezza del programma, comunque, si erano già espressi nel 2014 alcuni generali dell'Aeronautica a riposo, in un documento chiamato "Riflessioni sul programma JSF F35". Secondo i militari, si tratta del progetto "di una superpotenza pensato per un possibile confronto militare, nei prossimi 30/40 anni, con altre grandi potenze (Cina, India, Russia, Indonesia……..) e non certo con i Paesi del Mediterraneo o dei Balcani che rientrano nel nostro orizzonte". Tra l'altro, "è significativo che né Francia né Germania partecipano al JSF, solo UK fra le potenze della nostra dimensione è nel programma; da notare però che UK ha un bilancio della difesa che è tre volte il nostro ed inoltre ha un rapporto unico con gli USA". Che fare? Per i generali la soluzione è semplice: è "ragionevole negoziare l’abbandono del programma".