“Qual è il motivo per cui esiste un’istituzione chiamata scuola? Perché rimuove ostacoli” queste sono le prime parole di Aluisi Tosolini nella mia intervista. Aluisi Tosolini è uno dei dirigenti scolastici più impegnati nella diffusione del concetto di Scuola a livello nazionale.
Aluisi Tosolini è un preside d’avanguardia, capace di spingere l’istituzione scuola un passo oltre. La mia prima domanda è stata provocatoria: “A cosa serve la scuola?” e lui ha risposto così: “Sostanzialmente serve per formare delle persone, dei cittadini. Serve per acquisire le conoscenze fondamentali per stare al mondo in maniera critica, per essere attori e non spettatori, citando il padre della pedagogia contemporanea Amos Comenius”.
Sono stato a Parma per incontrare il dirigente scolastico Aluisi Tosolini e parlare di DAD, la Didattica a distanza, e per discutere di sentimenti: come stanno vivendo le studentesse e gli studenti, questi mesi di lontananza dagli edifici scolastici?
“Noi stiamo vivendo il più grande esperimento di didattica digitale mai realizzato", spiega Aluisi Tosolini. "La funzione della DAD è mantenere legami, e in questo senso “funziona”. Certamente la didattica a distanza ha costretto a essenzializzare quelli che un tempo avremmo chiamato “i programmi”. Siamo stati anche costretti a rivedere le modalità di valutazione. Con le video lezioni non è possibile immaginare un compito in classe di matematica suddivisi per file in cui ognuno è sul suo banco, con la sua penna, il suo foglio, senza possibilità di guardare smartphone. E allora oggi quali sono i modi per misurare le competenze? Innanzitutto chiedere ai propri studenti e alle proprie studentesse un patto d’onore: “Io ti do questa prova, dura un quarto d’ora, tu impegna te stesso a non copiare”. Il patto d’onore è un modello che viene utilizzato anche a livello universitario”.
Oppure vi sono anche altri metodi, che presuppongono anche – da parte dell’insegnante – la sua capacità di modellare i programmi sulle esigenze dell’attualità: “Si possono anche andare a cercare compiti di realtà. Un mio docente ad esempio ha lavorato nella costruzione della curva del contagio. E dunque l’elaborazione dei dati e il significato dei dati. Lo stesso, ad esempio, si può fare in filosofia passando al “dialogo colto”, pensate all'“app immuni”, con il suo nome “immuni”, quante possibilità di un dibattito filosofico di livello. Oppure passare dalla domanda del docente alla domanda dello studente. Hegelialamente parlando: “prof, ma è vero che il virus, essendo reale, è anche perfettamente razionale?”
Hanno sofferto, le studentesse e gli studenti, l’impossibilità di terminare l’anno scolastico in modo classico?
“Ne stanno soffrendo moltissimo. La scuola, impensabilmente mesi fa, viene rimpianta, c’è nostalgia della scuola, perché la scuola è comunità. Ci sono messaggi che dicono: “Io, senza la scuola, non sono uno studente”.
C’è una frase, un’idea, che ti porti appresso?
Sono due le frasi, la prima è riferita alla scuola come intellettuale sociale e ai docenti come intellettuali, gramscianamente l’intellettuale sociale, che legge i bisogni formativi del proprio tempo e sa rispondergli. Il compito dell’insegnante è appunto quello di essere quell’appassionato intellettuale che è capace di leggere il tempo, e di trascinare per passione gli studenti. Tutto ciò sta dentro l’articolo 3 della Costituzione, perché esiste un’istituzione chiamata scuola? Perché rimuove ostacoli”.