Parodi (Anm) a Fanpage.it: “Il decreto Sicurezza del governo Meloni preoccupa anche noi”

Il presidente dell’Anm Cesare Parodi, in un’intervista a Fanpage.it, spiega perché ha espresso perplessità sul decreto legge Sicurezza da poco approvato: “Sia l’Associazione italiana dei professori di diritto penale sia le Camere Penali, hanno stigmatizzato una serie di aspetti che sono stati definiti fortemente negativi, dall’aumento delle fattispecie, all’introduzione di nuove aggravanti che non sembrerebbero trovare una loro ragionevolezza intrinseca, alla penalizzazione del dissenso. Vedremo se in sede di conversione del decreto il governo terrà conto di queste alte opinioni”.
A cura di Annalisa Cangemi
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Il presidente dell'Anm Cesare Parodi, in un'intervista a Fanpage.it, torna a esprimere perplessità sul decreto legge sulla sicurezza, approvato venerdì scorso dal Consiglio dei ministri.

I primi dubbi l'Anm li aveva manifestati poco dopo il via libera al provvedimento, che aveva definito "inquietante". Il segretario dell'associazione, Rocco Maruotti, aveva bocciato il decreto, sostenendo che "sembra avere solo un duplice obiettivo: da una parte, creare nella collettività un problema che non esiste", in assenza di un allarme sociale o di questioni emergenziali legate all'ordine pubblico, e "dall'altra, tentare di porre le basi per la repressione del dissenso". Parodi da parte sua ha sottolineato che si tratta di un documento "che non ha mezze misure", e che per certi aspetti è "molto restrittivo e punitivo".

"Sul decreto Sicurezza sono state fatte alcune valutazioni di sintesi, che però dovranno essere approfondite. Ma c'è un dato: sia l'Associazione italiana dei professori di diritto penale sia le Camere Penali, hanno stigmatizzato una serie di aspetti che sono stati definiti fortemente negativi, dall'aumento delle fattispecie, all'introduzione di nuove aggravanti che non sembrerebbero trovare una loro ragionevolezza intrinseca, alla penalizzazione del dissenso", ha detto a Fanpage.it. Parodi non dovrebbe comunque affrontare questo tema durante l'incontro fissato con il ministro della Giustizia Nordio il prossimo 15 aprile: l'incontro sarà dedicato soprattutto ai problemi di efficienza della giustizia.

All’inizio del suo mandato ha avuto subito un confronto con la premier Meloni, per discutere della riforma della Giustizia che contiene la separazione delle carriere. Pensa ci sia modo di fare delle modifiche prima che venga approvata?

Il confronto mi sembrava un momento assolutamente indispensabile per tutta una serie di ragioni che vanno dal rispetto istituzionale alla necessità di mostrarsi  dialoganti. Non ci illudevamo di modificare le opinioni del governo perché sapevamo che questi aspetti erano oggetto di un preciso impegno verso gli elettori, ma ci tenevamo molto a manifestare le ragioni della nostra non adesione a questo progetto, che sono ragioni non certamente legate alla casta dei magistrati e alla difesa di privilegi, ma a una serie di difese di principi costituzionali che per noi sono assolutamente fondanti. Vogliamo far capire che le nostre sono ragioni tecniche, ma non certamente politico-ideologiche, di pura natura oppositiva.

Tra l’altro il ministro Nordio proprio pochi giorni fa ha ammesso che la riforma della Giustizia non c'entra nulla con la velocizzazione dei processi, al contrario di quanto avevano sostenuto altro esponenti di maggioranza, che avevano invece messo in relazione la separazione delle carriere con una “giustizia più rapida”. 

Il ministro ha assolutamente ragione sotto questo profilo. Lo ha detto lui, l'ha detto la senatrice Bongiorno, questa riforma non tocca l'efficienza della giustizia. È una modifica ordinamentale che serve a ridefinire i ruoli e che quindi non ha una ricaduta sull'efficienza in senso stretto. È bene dirlo, la gente deve sapere che si tratta di questo e non di altro. Il che non vuol dire che non sia importante. Ma vuole dire che i problemi concreti, quelli che tutti i giorni affrontiamo, restano da risolvere.

I rapporti tra magistratura e governo non si può dire che siano idilliaci al momento. L’esecutivo è tornato a parlare ultimamente di sanzioni disciplinari nei confronti dei magistrati che hanno comportamenti che possono compromettere “la credibilità personale, il prestigio e il decoro dell'istituzione giudiziaria". Il ministro Nordio ha citato come esempio lo sciopero dei magistrati del 27 febbraio scorso, o la partecipazione a convegni in sedi di partito. Si sta dicendo che i magistrati non possono avere un’opinione? Si vuole mettere insomma un bavaglio alla magistratura?

Sul discorso delle sanzioni disciplinari, c'è stato un immediato allarme da parte nostra. Ma su questo aspetto c'è stata un'immediata smentita e non c'è al momento, mi è stato assicurato pubblicamente, un'intenzione di introdurre sanzioni disciplinari, che sarebbero fortemente penalizzanti. Lo sciopero è stato contestato da molti, hanno detto che non avremmo potuto e dovuto scioperare. Io ripeto anche oggi, se anche i magistrati non possono scioperare, e non è vero, i cittadini sì, e noi siamo anche cittadini. E i cittadini, possono assolutamente e devono scioperare. L'80% dei magistrati hanno scioperato in difesa di principi che secondo noi vanno a tutela dei cittadini. A questo 80% aggiungiamo pure almeno un altro 10% di colleghi che condividono i motivi dello sciopero, ma non lo strumento sciopero. Sugli intenti, sugli obiettivi, c'è assoluta, ferma unitarietà.

Quindi lo strumento sciopero potrebbe essere riutilizzato in futuro?

Al momento non ne abbiamo parlato. Non avrebbe molto senso forse nell'immediato riproporlo, ma non possiamo assolutamente escludere nulla. Direi che è stata una prima tappa importante, riuscita, di un percorso di comunicazione, di manifestazione di pensiero, che avrà molte altre tappe che stiamo organizzando, ma non è un qualcosa che si va a opporre al governo.

Questa legge (la riforma della giustizia ndr) non è ancora tale. C'è una procedura complessa, articolata, che si svolge su un arco temporale con fasi differenti, che è in corso di valutazione. Noi ci inseriamo in questa fase: se c'è una concreta possibilità che il referendum suggelli questo percorso generale, credo che inserirsi nel dibattito democratico – previsto dalla Costituzione, la quale consente qualunque forma di manifestazione della volontà popolare – sia un qualcosa di assolutamente legittimo.

L’ultimo scambio a distanza tra governo e magistratura è avvenuto in occasione dell’approvazione del decreto legge sulla Sicurezza, che voi avete definito “inquietante”. Quali sono gli aspetti più problematici?

Spesso siamo stati fatti oggetto dell'accusa di voler invadere il campo del potere esecutivo e legislativo. Non è così. Ci sono state sicuramente delle prese di posizioni da parte della politica che ci hanno fortemente addolorato, perché i magistrati possono sicuramente sbagliare, ma ci spiace quando le critiche non sono rivolte al merito dei provvedimenti, ma si dice che i provvedimenti vengono fatti intenzionalmente per ostacolare le politiche del governo. Noi questo non possiamo condividerlo. Questa percezione, purtroppo, quando viene pubblicizzata, ha un impatto fortemente negativo nei confronti dell'intera categoria e quindi evidentemente potrà avere dei riflessi sulle intenzioni di voto dei cittadini. Difendo la buona fede dei magistrati, possono prendere provvedimenti che magari non sono condivisi, ma certamente non sono frutto di una volontà politica o oppositiva nei confronti del governo.
Sul decreto Sicurezza sono state fatte alcune valutazioni di sintesi, che però dovranno essere approfondite. Ma c'è un dato: sia l'Associazione italiana dei professori di diritto penale sia le Camere Penali, hanno stigmatizzato una serie di aspetti che sono stati definiti fortemente negativi, dall'aumento delle fattispecie, all'introduzione di nuove aggravanti che non sembrerebbero trovare una loro ragionevolezza intrinseca, alla penalizzazione del dissenso. Questo non lo abbiamo detto noi. Lo hanno detto le Camere Penali, che di solito sono un organo molto ascoltato, che ha fatto delle critiche molto precise e molto dure a questo decreto, così come hanno fatto i professori universitari. Sono sicuramente delle critiche autorevoli e dettagliate, non strumentali. Vedremo se in sede di conversione del decreto il governo terrà conto di alte opinioni, che di solito hanno un peso specifico nell'ambito del panorama nazionale.

Parlerete anche di questo il prossimo 15 aprile all'incontro con il ministro Nordio?

Questo non è un tema che è stato previsto per l'incontro, perché è un tema estremamente recente. L'incontro dovrebbe avere per oggetto soprattutto una serie di punti che avevamo già evidenziato nell'incontro con la presidente Meloni, che riguardano proprio l'efficienza in concreto della giustizia. Abbiamo dei problemi enormi di personale amministrativo carente, di geografia giudiziaria e di edilizia giudiziaria, problemi che riguardano la stabilizzazione degli UPP, ma soprattutto di informatica giudiziaria che non funziona come dovrebbe. Sarebbe errato pensare che queste tematiche siano svincolate dal discorso sulla riforma. Se i cittadini, che poi saranno chiamati a esprimere la loro opinione, si troveranno in tutto questo periodo a fare i conti con una giustizia che non funziona, che idea potranno avere di noi?

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