È da qualche giorno che si parla con molta insistenza della possibilità di "riaprire tutto", di "tornare a correre", di "rimettere in moto l'Italia", con proposte anche molto interessanti e considerazioni che vale la pena esaminare nella loro complessità (vi segnalo la posizione, piuttosto articolata, di Michele Boldrin pubblicata su Fanpage.it). Il tema è diventato centrale nel dibattito politico di queste ore dopo l'intervista di Matteo Renzi ad Avvenire, con la quale il leader di Italia Viva ribadisce una serie di concetti espressi in modo frammentario negli ultimi giorni: "Bisogna consentire che la vita riprenda. E bisogna consentirlo ora. Sono tre settimane che l`Italia è chiusa e c'è gente che non ce la fa più. Non ha più soldi, non ha più da mangiare. I tentacoli dell'usura si stanno allungando minacciosi, specialmente al Sud. Senza soldi vincerà la disperazione. Serve attenzione, serve gradualità, serve il rispetto della distanza. Ma bisogna riaprire. È un quadro terribile. È un quadro vero".
L'ex Presidente del Consiglio si spinge anche oltre, immaginando di riaprire le fabbriche prima di Pasqua, poi i negozi, le librerie, le messe, nell'ottica di un graduale ritorno alla normalità, che si dovrebbe completare con la riapertura delle scuole il 4 maggio. Certo, precisa più volte, con le dovute precauzioni e rispettando le distanze e tutte le indicazioni sanitarie. Il tema è, come detto, molto complesso e meritevole di grande attenzione (nessuno nega che le ripercussioni economiche della crisi da coronavirus potrebbero essere devastanti per milioni di italiani e non solo), ma è evidente che se caldeggiato dalla terza forza di maggioranza del governo assume ben altro significato. Siamo di fronte, per dirla in parole povere, a una proposta che arriva da una parte consistente della maggioranza. Che Renzi lo faccia per ragioni di visibilità personale, per mettere in difficoltà Conte o per dare una mano al Paese, a ben vedere, conta relativamente poco.
Conta la sostanza. E dunque, conviene fare qualche considerazione sul merito della proposta, al di là dei retroscenismi. Gli esperti non sembrano avere dubbi: Lopalco dice che "riaprire le scuole il 4 maggio è una follia e fare proclami in questo momento è sbagliato"; Pregliasco spiega che siamo ancora nel momento in cui bisogna "arginare le morti"; Cartabellotta (GIMBE) chiede al governo di dire "quante vite umane vogliono sacrificare per far ripartire economia". E potremmo continuare.
Il punto è che stiamo attraversando una delle fasi più complesse e gravi della crisi: ci sono delle zone del Paese in cui non abbiamo più il controllo della situazione, non sappiamo più quanti siano i morti da coronavirus e non abbiamo idee precise del numero di contagiati, di guariti e di asintomatici o paucisintomatici. Il picco appare ancora lontano, sempre che abbia ancora senso un ragionamento di questo tipo, mentre i criteri epidemiologici che abbiamo applicato su tamponi e controllo dei contagiati sono già saltati per la Lombardia e rischiano di saltare anche per Emilia Romagna e Marche. Il sistema sanitario lombardo è alle corde da giorni, ci sono migliaia di segnalazioni di disfunzioni, lacune e problemi insormontabili nella presa in carico delle segnalazioni da parte degli ospedali. Non va meglio in Piemonte e nelle Marche, mentre la Campania è già in allarme nonostante un numero basso di contagiati e di ospedalizzati. La situazione nelle case di cura praticamente in tutta Italia è fuori controllo. Manca una strategia per la gestione dei guariti, per la quarantena dei contatti dei contagiati, si litiga ancora sulla mappatura degli asintomatici. Ci sono enormi problemi di rifornimento di attrezzature e dispositivi di sicurezza persino per il personale sanitario e per le forze dell'ordine. Non riusciamo a contare i morti, non riusciamo a curare i malati, le persone hanno così poca fiducia nel sistema da sottovalutare i sintomi e rimandare le chiamate di soccorso per la paura di essere ricoverate in ospedale.
In questo contesto, anche solo pensare al ritorno alla normalità significa essere scollegati con la realtà dei fatti. Immaginare che aziende o servizi possano adeguarsi a disposizioni di sicurezza che non riusciamo a garantire nemmeno in ospedali e case di cura è irrealistico, per usare un eufemismo. Aprire ora non ha senso, dibatterne persino non ha senso.
[Poi, magari sarebbe anche utile smetterla di pensare alle persone come meri ingranaggi produttivi, sacrificabili se necessario, in nome della preservazione degli interessi di qualcuno, più che della collettività (come già avvenuto tra Nembro e Alzano, del resto). Ma questo, mi rendo conto, è un altro discorso, destinato a essere perdente, come sempre…]