Papa Francesco: “Fondamentalismo in tutte le religioni, comparsa dell’Isis anche colpa dell’Occidente”
"Perché non ci sediamo e non analizziamo come si può agire a favore dell'integrazione?": è la domanda che si fa papa Francesco durante una conversazione con Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, un dialogo raccolto nel libro "Non sei solo. Sfide, risposte, speranze". Nell'estratto pubblicato da La Stampa, il pontefice affronta l'argomento dell'integrazione dei migranti, tema su cui spesso si esprime. Ad esempio, il mese scorso ha criticato chi utilizza le parole invasione ed emergenza per alimentare la paura della gente: "Chi rischia la vita in mare non invade, cerca accoglienza. Quanto all'emergenza, il fenomeno migratorio non è tanto un'urgenza momentanea, sempre buona per far divampare propagande allarmiste, ma un dato di fatto dei nostri tempi".
Come emerge dal libro-intervista, per papa Francesco la riuscita dell'integrazione dipende da come viene portata avanti, "dal modo in cui si fomenta la convivenza". È una denuncia alle città che creano dei ghetti fatti di migranti, i quali rischiano solamente di alimentare il malcontento: "C'è stato un caso di giovani che hanno perpetrato un attentato con decine di morti e feriti. Vivevano in un ghetto che si è trasformato in terreno fertile perché fossero sottoposti a un lavaggio del cervello". E questa esclusione porterebbe, secondo il pontefice, a un'estraniazione dalla società: "Chiediamoci quale futuro può avere un giovane a cui, quando cerca un lavoro, sbattono tutte le porte in faccia per il semplice fatto di avere origini diverse. Il rischio di cadere nell'alcolismo, nella droga o di delinquere per sopravvivere è alto. Finanche nella tentazione del suicidio. Per non parlare di chi invece si ritrova coinvolto con l'Isis".
Ma per il capo del Vaticano è necessario anche che siano gli stessi migranti ad aprirsi all'idea di integrazione, abbracciare un nuovo contesto culturale pur sempre mantenendo le loro tradizioni. Tutto ciò deve essere un processo controllato e prudente, che non deve generare paura: "Che da un certo timore si passi al terrore e si chiudano le frontiere mi sembra un atteggiamento irrazionale", ha detto raccontando della sua esperienza in Argentina, che secondo lui è un esempio per la sua multiculturalità. Non si dimentica però l'importanza della religione in questo tipo di processi:
È vero che l'ideologizzazione dell'elemento religioso, quello che in Africa si chiama islam radicale, è un problema e rappresenta una perversione della religiosità perché l'islam, in verità, è una religione di pace e la maggior parte dei suoi membri sono pacifici. Come dicono loro, o si è terroristi o si è musulmani. Che poi, detto tra parentesi, il fondamentalismo lo troviamo in tutte le religioni.
Infatti, papa Francesco ha sottolineato che, nei Paesi africani in cui l'Isis non è presente, la convivenza tra religioni è pacifica. Addirittura, in alcuni di questi nei giorni di Natale "i musulmani fanno regali ai cristiani. E i cristiani fanno regali ai musulmani per il Ramadan o per la festa del Sacrificio". Questo avviene anche per come si sono consolidate le relazioni tra l'Occidente e questi Stati. Allo stesso tempo, per papa Francesco non bisogna dimenticare di come anche il nostro mondo abbia diverse colpe per le condizioni di quei Paesi, le quali sarebbero "conseguenze del colonialismo e, in particolare, dell'appropriazione delle loro risorse naturali. Ma anche del fallimento dell'Occidente nel suo tentativo di importare la propria tipologia di democrazia in certi Paesi con una cultura, non dico tribale, ma di stampo simile".
La denuncia è soprattutto rivolto a quanto successo in Libia e in Iraq, che era un Paese "abbastanza stabile" prima della Guerra del Golfo, anche se Saddam Hussein "non era certo un angioletto". Il pontefice ci tiene ad essere chiaro su questo punto: "Attenzione: non sto difendendo Gheddafi o Hussein. Ma che cosa ha lasciato la guerra? L'anarchia organizzata e altra guerra. Quindi ritengo che non dobbiamo esportare la nostra democrazia in altri Paesi, bensì aiutarli a sviluppare un processo di maturazione democratica secondo le loro caratteristiche. Non fare una guerra per importare una democrazia che i loro popoli non sono in grado di assimilare". E lo stesso vale per l'Isis: "Mi ritengo ignorante in quanto a politica internazionale, ma credo che alla base della comparsa dell'ISIS ci sia una sfortunata scelta occidentale".