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Pa, stop allo smart working se gli uffici non riescono a garantire servizi adeguati

Il ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, sta pensando a un piano per lo smart working nella pubblica amministrazione: l’idea è quella di applicare il lavoro agile sulla base delle prestazioni dei dipendenti delle singole amministrazioni. Niente lavoro da remoto, quindi, se non si riesce ad assicurare un livello adeguato dei servizi.
A cura di Stefano Rizzuti
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Sì allo smart working nella pubblica amministrazione, ma non sempre. La condizione è semplice: il lavoro agile non si può applicare se rischia di determinare un abbassamento della qualità dei servizi per i cittadini. E gli stessi cittadini, insieme alle imprese, verranno chiamati in causa per misurare l’efficacia dello smart working e dei servizi erogati con modalità a distanza. È il Messaggero a riportare alcune indiscrezioni sul piano del ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, per disciplinare lo smart working, dopo i mesi di sperimentazione obbligata a causa della pandemia. Una delle ipotesi in campo è quella di far valutare le prestazioni dei dipendenti in smart working da utenti interni ed esterni, quindi non solo dirigenti e funzionari pubblici, ma anche cittadini e imprese. Tra i criteri potrebbero essere considerati il tempo di risposta e quello di rilascio delle pratiche, per capire se una singola amministrazione pubblica sia o meno in grado di rispondere con la stessa efficacia anche attraverso il lavoro da remoto.

Brunetta vuole eliminare percentuali lavoro agile

L’obiettivo di Brunetta è quello di regolamentare il lavoro agile sia da un punto di vista normativo che da un punto di vista economico nei contratti collettivi per il pubblico impiego. La strada che sembra voler seguire il neo-ministro è quella di far sparire le percentuali di lavoro agile, introdotte durante l’emergenza Coronavirus e poi diventate un obiettivo dell’ex ministra Fabiana Dadone. Il suo piano prevedeva almeno il 60% di lavoro agile tra i dipendenti che potevano effettivamente svolgere i loro compiti da remoto. I pola, i piani delle singole amministrazioni, sembrano invece destinati a sparire.

Smart working diverso per ogni Pa

L’approccio di Brunetta sembra essere diverso, più flessibile sulla base della singola situazione: dove il grado di digitalizzazione è minore, così come la quota di dipendenti in grado di lavorare da remoto, allora bisogna ridurre questa quota. Finora solo un terzo delle amministrazione ha presentato i Pola, ora analizzati dagli esperti della commissione tecnica del nuovo Osservatorio nazionale del lavoro agile. L’idea è quella di puntare maggiormente su piani specifici, fatti su misura per ogni singola amministrazione. Così da valutare dove il lavoro agile comporti una minore efficienza. In quei casi la percentuale di smart working scenderà. Dove, invece, l’efficienza è maggiore la percentuale può anche salire sopra la soglia del 60%. Il nodo da sciogliere resta, quindi, quello della valutazione delle performance dei dipendenti in smart working.

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