Orfini: “Mettere in discussione Schlein sarebbe un errore, ma con il M5s restano nodi irrisolti”
La direzione del Partito Democratico di ieri, dopo diversi rinvii, si annunciava già come una prima resa dei conti tra Elly Schlein e la minoranza interna. I toni sono stati a tratti duri, ma comunque "costruttivi", secondo il deputato dem Matteo Orfini, intervistato da Fanpage.it. Nei giorni delle polemiche interne per la partecipazione della segretaria alla manifestazione del Movimento 5 Stelle, Orfini chiede a Schlein di fidarsi del Pd e al Pd di fidarsi di lei. Anche chi non l'ha votata – lo stesso deputato ha sostenuto Stefano Bonaccini alle primarie – deve darle "il tempo di impostare il suo lavoro".
Ieri si è tenuta la prima direzione del Pd con un clima molto teso per Elly Schlein, è già arrivato il momento in cui il partito mette in discussione la segreteria?
Credo e spero di no. Sarebbe un errore. Ieri ho concluso il mio intervento dicendo che la segretaria del Pd si deve fidare del Pd, che non è un luogo di intrighi, cacicchi e complotti. È un grande partito plurale e democratico, a differenza degli altri. Non è un partito personale, né di proprietà di nessuno. Allo stesso tempo, però, il Pd si deve fidare della sua segretaria. Non è possibile che ogni cosa che fa diventi oggetto di un esame sul tasso di snaturamento dell'identità del Pd.
Nei giorni scorsi si è parlato molto della partecipazione alla manifestazione del Movimento 5 Stelle, sia per via di un rischio subordinazione su certi temi, sia per le parole di Beppe Grillo e di Moni Ovadia. Schlein ci doveva andare o no?
In questi anni sono stato uno tra i più critici sul rapporto con il Movimento 5 Stelle, perciò io non sarei andato. Ma no, non trovo sia uno scandalo esserci andati. Ricordo che con Conte abbiamo governato e fatto cose discutibili, tipo sfregiare la Costituzione con il taglio dei parlamentari e seguire le idee di Bonafede sulla giustizia. Decisamente peggio che passarci cinque minuti insieme a una manifestazione. Perciò gli attacchi interni sono strumentali. Poi però restano i nodi politici. E non parlo delle frasi di Grillo, che sono una buffonata, ma se il capo politico del Movimento 5 Stelle dà un palco e una platea a chi ci spiega che la guerra in Ucraina è colpa della Nato, per me è un problema.
Ieri però Schlein è stata chiara in direzione, dicendo in vari passaggi della sua relazione che come partito non siete autosufficienti e lasciando intendere che anche chi non vuole accettarlo nel Pd deve farsene una ragione
È chiaro che con determinati sistemi elettorali le alleanze siano indispensabili. Veniamo da due segretari che hanno costruito le loro segreterie sul campo largo, prima Zingaretti e poi Letta. Non ci sono riusciti, e non per colpa loro. Non mi sembra che non ci abbiamo provato ed è ovvio che bisognerà continuare a farlo. Ma va detto che queste alleanze saranno accettabili se ci sarà un Pd forte, coeso e con un'identità chiara. Solo essendo più forte potrà porre dei paletti, programmatici e politici, a queste alleanze.
Però al momento il Pd è il primo partito d'opposizione, ed è stato comunque il più votato alle amministrative e – tra chi ha perso – alle politiche, non dovrebbe già imporre la sua agenda alle altre opposizioni?
Diciamo che i sondaggi vanno bene ma siamo al 21%, cioè un paio di punti sopra le politiche. Il Partito Democratico può ambire a recuperare molti più voti e tornare intorno ai trenta punti, è nato per questo e lo spazio c'è. La vittoria di Schlein può aiutare questo percorso, ma non basta enunciare il posizionamento politico. Bisogna aprire dei processi che aggrediscano il consenso della destra. Un esempio: i voti dei precari non li recuperi andando alla manifestazione del Movimento 5 Stelle, ma capendo come fare del Pd il partito in grado di rappresentarli e coinvolgerli in una battaglia di cambiamento.
Ieri però i toni di Guerini sono stati molto duri. La spaccatura interna al Pd rischia di allargarsi e pesare nei processi decisionali? Anche perché intanto da fuori Matteo Renzi chiama a raccolta i famosi riformisti
La discussione in direzione è stata vera, seria, sincera e costruttiva. Ho ascoltato l'intervento di Guerini: ha detto il suo punto di vista, ma non voleva rompere. Mi chiedo, cosa vuol dire essere riformisti oggi? Il Partito Democratico è un partito riformista, che però sa essere radicale su alcuni aspetti politici. Dobbiamo costruire il posizionamento del nuovo Pd. È una sfida collettiva, non solo il lavoro di Schlein.
Tra un anno ci saranno le elezioni europee, mentre siamo tornati a parlare di migranti dopo uno dei peggiori naufragi nel Mediterraneo in termini di morti. Quale deve essere il posizionamento del Pd, sia a livello europeo che di fronte al linea del governo Meloni?
Finalmente c'è un'evoluzione nel Pd su questi temi, dopo anni in cui abbiamo scimmiottato la destra. La tragedia in Grecia dimostra la necessità di una missione di salvataggio europea, che alcuni di noi hanno sempre chiesto e su cui sta insistendo anche Schlein. Il modello deve essere Mare nostrum, nel Mediterraneo c'è bisogno di un meccanismo di salvataggio istituzionale. Le persone che rischiano di morire in mare vanno salvate. Giorgia Meloni si sta scontrando con la realtà dopo aver fatto tanta propaganda. Ora si rende conto che i suoi alleati europei sono spesso l'ostacolo alla gestione condivisa e solidale dei flussi migratori. Benvenuta nella realtà, forse questo la aiuterà a capire che in questi anni ha speculato su un dramma enorme per provare a raccattare qualche voto.