“Amici e compagni, guardiamoci negli occhi, non c'è parola più bella di comunità, ma serve l’impegno personale e mettersi in gioco”. Matteo Renzi, in uno dei luoghi simbolo della sinistra italiana, il Lingotto, lanciava così la sua campagna per le primarie del partito Democratico con un lungo discorso, che era però sintetizzabile in questo concetto: la costruzione di una comunità, ma solo a partire dalla valorizzazione della dimensione individuale della partecipazione politica. È un punto troppo spesso sottovalutato, ma centrale nell’idea che ha Renzi di partito come “comunità”, diversa da quella tradizionale del Pci prima e del PD poi.
La differenza sostanziale è nelle implicazioni dell'appartenenza politica, che cessa di essere un elemento distintivo dell'individuo nella società e assume carattere più debole, liquido, fluttuante. Renzi cerca di interpretare questo cambiamento e "offre" una narrazione, più che un solido sostrato ideologico e programmatico. Disegna cioè un contenitore in cui tenere dentro istanze e culture diverse, appartenenze e suggestioni, provenienze e percorsi anche antitetici: lo scopo è l'ampliamento del consenso, più che il compimento di un percorso politico. È una ideologia senza ideologie, sulla quale tanto è stato scritto e molto ancora si dibatterà in futuro.
Questa cornice fa sì che per Renzi sia prassi quelle che normalmente sembrerebbero operazioni politiche spregiudicate e al limite dell'accettabile. È stato così con Berlusconi al Nazareno, con la sostituzione di Letta, con la legge elettorale approvata con la fiducia (e abbiamo visto come è andata poi…), con una scissione tutto sommato anche auspicata, e in una serie innumerevole di altre circostanze. E con la stessa spregiudicatezza Renzi proverà a muoversi anche nella prossima campagna elettorale, sono pronti a scommettere i suoi fedelissimi.
Nelle ultime settimane, però, il segretario del Partito Democratico sembra essersi incartato, o meglio, sembra aver ristretto il suo raggio d'azione e persino l'orizzonte cui aspira. “Costretto” ad accettare un modello di legge elettorale che non gli si addice, si sta limitando a far la guerra ai “piccoli partiti” e in particolare ai suoi vecchi compagni di viaggio. Oltre alla soglia di sbarramento al 5%, al no al voto disgiunto e alla doppia scheda, ciò sembra evidente dal richiamo al “voto utile”, che Renzi è pronto a fare nella prossima campagna elettorale.
Se qualche anno fa il voto utile era quello per “fermare la destra”, ora per Renzi il voto utile è quello per “fermare le larghe intese”. "Ogni voto dato al PD andrà in questa direzione, ogni voto dato ai piccoli partitini aiuterà invece lo schema delle larghe intese", scrive Renzi, incurante del fatto che le larghe intese, con il sistema che si va prefigurando, sembrano ineluttabili. Tant'è che poi aggiunge: "Il PD farà liste molto larghe, pescherà al centro e a sinistra, nell'associazionismo e nella società civile, non si chiuderà nei propri confini stretti". Una considerazione che è anche un segnale di resa, probabilmente, di chi si rende conto che un determinato bacino elettorale non è più aggredibile e che, dunque, per rafforzare il consenso del PD non resta che cannibalizzare gli ex alleati, di Governo (Alfano) e di partito (Mdp, Possibile).
Un po' pochino come orizzonte politico, per la verità. Anche considerando come andò a finire quando Veltroni fece appello al "voto utile": sinistra fuori dal Parlamento e Berlusconi con la più grande maggioranza di sempre in Parlamento.