Ora il governo Meloni fa sul serio sulle gabbie salariali, l’alternativa della Lega al salario minimo
L'idea di reintrodurre un sistema simile a quello delle gabbie salariali – con stipendi più alti dove il costo della vita è maggiore e viceversa – è diventata rapidamente una possibilità che il governo Meloni è disposto a prendere sul serio. L'iniziativa era partita dalla Lega a inizio novembre, con un disegno di legge depositato al Senato. D'altra parte, si tratta di una proposta storica del Carroccio.
Poi però la norma è stata inserita anche nell'emendamento con cui il centrodestra ha affossato la proposta di salario minimo legale delle opposizioni, già approvato dalla Camera. Infine, il governo Meloni si è impegnato ufficialmente a lavorare sul tema con un ordine del giorno. Così, quella che fino a poche settimane fa era una proposta leghista tra le tante è diventata un impegno di governo (per quanto solo formale), e ora sembra più vicina la possibilità che venga davvero messa in atto.
Il principio è questo: per tutti i dipendenti, pubblici e privati, la retribuzione dovrebbe essere più alta dove il costo della vita è più alto, e viceversa. Questo era anche il ragionamento alla base del sistema delle gabbie salariali, in vigore in Italia fino al 1972. Il problema, secondo alcuni esperti e le opposizioni, è che con un meccanismo simile si renderebbero più ricche le regioni che già sono benestanti, soprattutto quelle del Nord Italia, e al contrario si penalizzerebbero quelle più povere. Che è poi uno dei motivi per cui le gabbie salariali furono abolite circa cinquant'anni fa.
La proposta della Lega, per quanto è possibile dedurre dai testi passati finora in Parlamento, è leggermente diversa. Non si cambierebbero gli stipendi in sé, ma nascerebbe la possibilità di prevedere una voce aggiuntiva al salario, che cambierebbe in base al costo della vita nella propria zona. Insomma, nessuna differenza nella retribuzione in senso stretto, ma una somma più alta in busta paga per chi vive dove l'affitto e la spesa costano di più.
L'ordine del giorno leghista, firmando dal deputato Andrea Giaccone, prevede che per il settore privato si potrebbe incentivare (non obbligare) a inserire una ‘clausola' simile nei contratti aziendali. Per i dipendenti pubblici, invece, lo Stato potrebbe intervenire direttamente con la contrattazione collettiva, per arrivare ad avere "pari potere d'acquisto per tutti". L'esempio di Giaccone è quello degli insegnanti della scuola pubblica: tutti i professori hanno lo stesso stipendio, che abitino in una città molto costosa o in un piccolo paese di periferia dove vivere costa meno. La norma sulle ‘gabbie salariali' farebbe sì che i primi abbiano una voce in più in busta paga, per compensare la differenza.
Le opposizioni hanno chiarito di essere completamente contrarie. Una norma simile "spaccherebbe il Paese" secondo il Pd, e la segretaria Elly Schlein ha criticato il testo già in Aula: "Mette nero su bianco che voi pensate che un insegnante al Sud debba prendere di meno rispetto a un insegnante al Nord". Il Movimento 5 stelle ha fatto sapere: "Se Giorgia Meloni seguirà la Lega in questa follia ci troverà dentro e fuori il Parlamento a difesa della dignità dei docenti e dell’unità del sistema scolastico nazionale".