Tutto parte dalla conferma della Cassazione della condanna di Silvio Berlusconi a 4 anni di reclusione e a 5 di interdizione dai pubblici uffici per frode fiscale nell'ambito del processo Mediaset – diritti tv. Nel periodo di avvicinamento alla decisione ultima della Suprema Corte, infatti, il Cavaliere si era lasciato convincere a tenere bassi i toni e a non acuire lo scontro con la magistratura, affidando ai suoi ministri il compito di portare a casa provvedimenti di grande impatto in modo da lasciare intendere che il Governo delle larghe intese fosse davvero la soluzione ai problemi del Paese. Era il piano delle colombe del Popolo della Libertà, orchestrato abilmente da Gianni Letta e avallato e sostenuto dai vari Lupi, Cicchitto, Quagliariello, con la supervisione benevola (ed interessata) di Angelino Alfano. Poi la condanna e le difficoltà del Governo. Poi, decisiva, la nota "pilatesca" del Quirinale che sostanzialmente lasciava intravedere ben pochi spiragli per il futuro politico di Silvio Berlusconi.
E un Silvio Berlusconi furioso ha fatto saltare il banco, mettendo in un angolo la pazienza e la moderazione e cassando il nuovo piano dei moderati: la richiesta di un serio esame da parte della Giunta con la possibilità di guadagnare tempo e conservare margini di manovra per quanto attiene all'attività politico – parlamentare. Il cambio di marcia, al di là delle interpretazioni discutibili degli sconfitti del vertice di ieri, è palese. Ed è la ratifica di quanto i falchi, i berlusconiani doc, dalla Santanchè a Brunetta, sostengono da tempo: la responsabilità di trovare una soluzione tocca al Colle e Letta deve pubblicamente sostenere l'idea che il Pd non voti la decadenza di Berlusconi da senatore. Oppure, semplicemente, salta tutto. E il Pdl è pronto ad una crisi al buio e se necessario anche ad una campagna elettorale infuocata, sulle macerie della politica e del Paese.
Ma un cambio di rotta che non è indolore, anche e soprattutto perché rompe gli equilibri interni al Pdl. Lo si è visto proprio in occasione dell'intervista a Repubblica della Santanchè, nella quale si annunciava l'imminente fine del Governo Letta ed il trionfo dei falchi. Contro l'ex candidata de La Destra si è scagliato subito Cicchitto: "L'onorevole Santanchè, che è anche responsabile dell'organizzazione del partito, dichiara di esprimere le posizioni di una corrente di esso, i "falchi", i cui nominativi elenca ed elenca anche i nomi dei dissenzienti, dei non allineati, dei renitenti e degli incerti. Francamente non ci sembra che abbia scelto il momento più opportuno per fare questo elenco dei buoni, dei cattivi e dei mediocri. E poi contraddice il testo finale di Arcore che afferma che il partito è unito e compatto, perché avevamo capito che, ferme rimanendo le libere valutazioni di ognuno, siamo tutti impegnati a respingere l'attacco politico e giudiziario a Silvio Berlusconi e a porre il Pd di fronte alle sue responsabilità perché la tenuta dell'attuale governo, che è auspicabile, deve essere affidata al senso di responsabilità di tutte le forze politiche che lo sostengono".
Sulla stessa linea anche Schifani che (come farà poi Gasparri) rileva: "Si dovrebbero evitare esternazioni inappropriate ed avere rispetto per chi, sin dalla nascita di Forza Italia, venti anni fa, ha scelto convintamente di condividere un percorso politico in modo sempre coerente, e non a fasi alterne, a fianco e con Berlusconi". E, si badi bene, i due riferimenti non sono casuali. Da una parte si ricorda "chi faceva parte di Forza Italia sin dall'inizio" e dall'altra si chiede un intervento di Alfano. Il "più furbo di tutti", per citare la Santanchè. Colui che, colomba per vocazione e mandato, dovrebbe tenere insieme il partito e che invece sembra aver ceduto senza combattere all'aggressività degli oltranzisti. E che ora rischia di essere divorato dalle correnti.