L'incontro tra Silvio Berlusconi e Pier Luigi Bersani non ha ovviamente rotto lo stallo politico istituzionale venutosi a creare dopo le politiche del 2013. È opinione comune, del resto, che per il momento la cosa migliore sia "sedersi, ragionare e parlare" della sola vera urgenza: l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Quanto alla formazione del nuovo esecutivo, ci saranno "tempi e modi", da concertare con il nuovo Capo dello Stato. Insomma, una volta naufragato il primo tentativo di costituire un Governo e assorbita la parentesi dei saggi (che poche ore fa hanno depositato una serie di proposte, nell'indifferenza pressocché totale), le forze politiche tradizionali hanno sostanzialmente accettato di concentrarsi sulla partita del Quirinale. Rispondendo picche alle sollecitazioni del Movimento 5 Stelle sulla necessità di dar vita alle Commissioni per "cominciare subito a lavorare" (e l'impressione è che si tratti di una battaglia destinata ad essere oscurata dalle vicende legate al Colle).
Dunque, ufficialmente, l'attenzione è solo ed esclusivamente sulla successione a Giorgio Napolitano. Intorno alla quale potrebbe concretizzarsi quell'asse Pd – Pdl che, secondo molti, aprirebbe la strada ad un governo delle larghe intese, sia pure "mascherato" da esecutivo di minoranza. Già, perché la linea scelta dai democratici è senz'altro meritevole di alcune considerazioni particolari. Le riassume con precisione Gilioli su L'Espresso: "Quindi il gruppo Pd-Sel, prima forza per numeri nell’assemblea che tra otto giorni inizierà a votare, deve decidere se la persona da mandare al Quirinale è da eleggere insieme al Pdl o insieme al M5S, pur essendo detto gruppo numericamente in grado di eleggerne una insieme ai soli montiani, dopo il terzo scrutinio. Dall’incontro di ieri sembrerebbe che questa scelta sia stata già fatta: con una ‘rosa’ di nomi che il Pd proporrà a Berlusconi per avere i suoi voti".
Una decisione "singolare" e decisamente discutibile, anche se dal Nazareno sono pronti a giurare che si tratta solo di un passo obbligato e che nei prossimi giorni Bersani incontrerà anche il Movimento 5 Stelle per impostare lo stesso tipo di discorso. Ora, posto che trovare un nome che incontri il favore di 5 Stelle e Pdl sarà arduo, posto che in ogni caso i grillini si muoveranno secondo lo schema consolidato (loro voti – loro nome – zero margini di trattativa), il punto è capire fino a che punto il raggiungimento di una intesa sul nome per il Quirinale possa favorire anche un accordo in chiave Palazzo Chigi. Se cioè Bersani riuscirà a tenere separati i due tavoli fino in fondo o se si arrenderà a quello che a molti all'interno del suo partito sembra evidente: non c'è maggioranza possibile senza i voti del Pdl.
Ed è per questo motivo che è sul "nome" che si gioca la partita decisiva. Con una "rosa" che però in relazione a quanto detto è meno ampia del previsto, al netto di candidati già bruciati. Un orizzonte nel quale ad esempio potrebbe non esserci più spazio per Prodi, Bonino e Rodotà, mentre invece troverebbero posto figure di garanzia come Marini, Grasso e Amato, oppure non direttamente riconducibili all'area politica come Saverino, De Rita e Zagrebelsky (mentre il ministro Cancellieri ha smentito ai nostri microfoni la sussistenza stessa dell'ipotesi di una sua candidatura). E, sullo sfondo, sempre l'ombra di Massimo D'Alema ed Anna Finocchiaro, graditi più dalle parti di via dell'Umiltà che nelle stanze del Nazareno.