Il governo ha firmato la più dura limitazione delle libertà personali della storia repubblicana, imponendo di fatto la zona rossa all'intero Paese, chiudendo tutti i luoghi di aggregazione sociale e stabilendo forti limiti ai movimenti. I numeri dicono che si tratta di una scelta necessaria, forse addirittura tardiva e neanche definitiva, dal momento che il contagio da coronavirus continua a crescere a ritmo esponenziale e il sistema sanitario delle zone più colpite è vicino al collasso. Non c'era più spazio per le mezze misure, serviva un'azione decisa e rapida, che desse anche un chiaro segnale ai cittadini.
Non si tratta di cedere la nostra sovranità a entità oscure e minacciose, ma di garantire la sicurezza e la salute dell'intera comunità. Come detto alla vigilia del primo decreto, rifiutarsi di seguire le regole, non accettare temporanee limitazioni alla propria libertà di movimento, non sottostare a vincoli chiari e indicazioni importanti, significa mettere in pericolo la vita di migliaia di persone e, in definitiva, minare alla base proprio il patto sociale fra gli individui.
Queste norme, per come sono pensate e scritte, da sole non servono a niente, soprattutto perché vi è l'oggettiva impossibilità di operare centinaia di migliaia di controlli e perché vi è l'assenza di una leva efficace per punire gli abusi o almeno disincentivare le pratiche scorrette. Tocca a noi, è nostra esclusiva responsabilità, dunque. Dobbiamo scoprirci comunità e, senza cedere un centimetro della nostra libertà e integrità, dobbiamo accettare con consapevolezza e convinzione la necessità di fare dei piccoli sacrifici in nome di un bene più grande: la cura dell'altro, la difesa a un tempo di noi stessi e dei soggetti più deboli ed esposti, la tutela della salute collettiva, nell'ottica della solidarietà e dell'aiuto reciproco. Rinunciare al narcisismo delle piccole differenze per abbracciare l'altruismo e la condivisione di un unico sforzo. Poi, quando tutto sarà passato, torneremo a essere un popolo di teste di cazzo che sguazza nel cinismo e nell'indifferenza. Non ora, però.