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Opposizioni si compattano contro il governo: ritirato emendamento per riorganizzazione ministero Cultura

Pd, M5S, Avs, Azione e Iv si compattano e fanno saltare l’emendamento al decreto Pa che avrebbe portato a una riorganizzazione del ministero della Cultura guidato da Sangiuliano.
A cura di Annalisa Cangemi
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Le opposizioni di compattano e riescono a bloccare il tentativo del governo di riorganizzare il ministero della Cultura, guidato da Gennaro Sangiuliano. È stato infatti ritirato dall'esecutivo l'emendamento al decreto Pa – provvedimento che approderà nell'Aula della Camera domani pomeriggio alle 16 e su cui verrà posta la questione di fiducia – presentato nelle commissioni Affari costituzionali e Lavoro alla Camera, che puntava a modificare la struttura del ministero della Cultura.

Qualche giorno fa la Repubblica aveva anticipato il contenuto dell'emendamento, che sarebbe stato solo un trucco "per fare indirettamente decadere tutti gli attuali dirigenti generali e poi sostituirli – moltiplicando le poltrone – con nuove figure apicali scelte personalmente dal ministro con il solo passaggio in Cdm, senza dover per forza pescare dai ruoli dirigenziali della P.A. né ricorrere all’interpello", si legge nel pezzo di Giovanna Vitale.

Con la conseguenza di portare al ministero "molte più figure fiduciarie, oltre a quelle già previste per gli uffici di diretta collaborazione, controllate di fatto dal capo di gabinetto". E dare al governo "il potere di scegliersi direttamente" i vertici del dicastero e "supervisionarne pure l’operato". Senza rispettare il criterio della separazione tra indirizzo politico e indirizzo amministrativo.

La proposta aveva suscitato nelle ultime ore accese polemiche tra i parlamentari delle forze di minoranza, che ne avevano chiesto il ritiro. L’emendamento stabiliva tra le altre cose che il ministero della Cultura si "articola in dipartimenti" e il loro numero “non può essere superiore a cinque, in riferimento alle aree funzionali”. Mentre il "numero delle posizioni di livello dirigenziale generale non può essere superiore a trentadue, ivi inclusi i capi dei dipartimenti".

La proposta di modifica mirava a riscrivere l’articolo 54 del dlgs sulla “riforma dell'organizzazione del Governo” del 1999. Gli oneri della misura erano "quantificati in 228.609,82 euro annui a decorrere dall'anno 2024, pari alla differenza, moltiplicata per le quattro posizioni apicali aggiuntive – a invarianza del numero complessivo di posizioni dirigenziali generali – tra la retribuzione di un direttore generale di prima posizione retributiva e la retribuzione prevista per il segretario generale, attualmente unica figura apicale del ministero della Cultura", si legge nella relazione tecnica dell’emendamento ritirato.

"La battaglia unitaria condotta dalle opposizioni nelle commissioni Affari costituzionali e Lavoro per bloccare la pessima riorganizzazione del Ministero della Cultura è stata vinta. L'emendamento che la voleva maldestramente introdurre è stato ritirato", affermano in una nota i capigruppo delle commissioni Affari costituzionali e Lavoro di Pd, M5S, Avs, Azione e Iv. "Il ministro Sangiuliano ha dovuto fare un passo indietro rispetto a una scelta sbagliata nel metodo e nel merito perché avrebbe indebolito l'attività del Mic e avrebbe reso l'amministrazione meno libera e sottomessa alla politica. Una buona notizia per la Cultura del nostro Paese", concludono.

"Troppo anche per loro: la destra ha ritirato l'emendamento vergogna che riorganizzava il MiC con l'obiettivo di togliere autonomia e indipendenza ad organismi tecnici per mettere la gestione di tutta la struttura sotto il controllo politico del ministro. Ma non demordono e annunciano che la riorganizzazione si farà. Intanto, grazie al lavoro congiunto di tutte le opposizioni in commissione, si è fermato un pericoloso colpo di mano. E non arretreremo di un passo per impedire il tentativo del governo di occupare ogni spazio in modo brutale. Questo è stato solo l'ennesimo episodio. Vorremmo che l'esecutivo si preoccupasse realmente di un settore strategico, con risorse ed interventi. Non con l'obiettivo di togliere autonomia e libertà a chi fa cultura nel Paese", ha detto Irene Manzi, capogruppo Pd in commissione cultura e componente della segreteria nazionale.

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