Operazione Sanremo, ecco come il governo Meloni sta provando a insabbiare il caso Paragon
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La nostra democrazia, ultimamente tanto vituperata oltreoceano, ha delle regole tutto sommato semplici, che traggono la loro legittimità da una sorta di patto di fiducia tra cittadini e istituzioni. Si può essere, insomma, più o meno d’accordo con le posizioni espresse dalla maggioranza, si può avere più o meno simpatia per chi ci governa, ma la fiducia nelle istituzioni è una cosa seria, è alla base del funzionamento della democrazia. Tutta questa premessa, per dirvi una cosa semplice: quando il ministro Ciriani si è presentato in Parlamento per assicurare che il contratto tra il governo e l’azienda Paragon per l’utilizzo dello spyware Graphite fosse ancora pienamente operativo, ci eravamo fidati e avevamo dato la notizia con grande enfasi. Certo, lato nostro cambiava relativamente poco, visto che, in ogni caso, lo spyware era stato usato illegittimamente e che il governo continuava a non rispondere alle domande più spinose sull'intera vicenda. E pazienza se le nostre fonti continuavano a insistere sul fatto che i responsabili dell'azienda israeliana fossero furibondi col nostro governo per aver violato le condizioni di utilizzo del contratto.
Perché, ci ripetevamo, va bene tutto, ma è impossibile che un ministro si rechi in Parlamento dicendo una cosa non vera o almeno imprecisa al punto da risultare omissiva. Anche perché Ciriani non solo era stato categorico sull'operatività del contratto, ma addirittura aveva minacciato azioni legali contro chiunque si fosse permesso di ipotizzare responsabilità del governo dietro lo spionaggio del direttore Cancellato. All'esterno dell'Aula, inoltre, il sottosegretario Mantovano aveva rassicurato i giornalisti sul fatto che, pur avendo in dotazione lo spyware militare di fattura israeliana, i nostri servizi di intelligence non c'entrassero assolutamente nulla con questa storia e avessero sempre rispettato le norme etiche imposte da Paragon e, soprattutto, la legge del 2007 che tutela giornalisti e politici.
Ora, noi ci fidiamo ancora. Ma le crepe in questa ricostruzione del governo cominciano a essere enormi. Vi abbiamo già raccontato dello strano comunicato con cui Palazzo Chigi era intervenuto sulla vicenda poche ore dopo la denuncia pubblica del nostro direttore e dell’attivista di Mediterranea Saving Humans Luca Casarini. Nella nota, oltre a non dare chiarire se esistesse o meno un accordo con la società israeliana Paragon Solutions, il governo smentiva categoricamente la possibilità che fosse stato utilizzato uno spyware militare per spiare giornalisti o politici, ma incredibilmente, ammetteva allo stesso tempo che ci fossero sette utenze italiane interessate. Inoltre, con uno scivolone che avrebbe poi fatto infuriare sia la società israeliana che gli alleati europei, Chigi elencava una lunga serie di Stati coinvolti nello spionaggio con lo spyware Graphite, citando fonti di META, la stessa azienda che aveva incluso il nostro direttore nell'elenco degli spiati.
L'operazione Sanremo del governo Meloni
Un disastro su tutta la linea, che è proseguito nei giorni successivi, quando Meloni e soci hanno provato a rimediare a colpi di indiscrezioni, smentite ufficiose e tentativi di inquinare i pozzi affidati ai soliti giornali amici. Del resto, restavano ancora troppe domande senza risposta e tante zone d'ombra ad autorizzare retropensieri su scenari a dir poco inquietanti. Infatti, anche prendendo per buono tutto ciò che il nostro governo ci diceva, qualcosa non tornava. In sintesi: Graphite è in dotazione alle agenzie di intelligence e alle forze di polizia giudiziaria (che possono usarlo per conto delle procure); i servizi segreti sostengono di non essere responsabili dello spionaggio ai danni del direttore Cancellato (AISE lo ha detto al Copasir, AISI ha fatto sapere di rispettare le leggi, che lo vietano); le procure non potrebbero utilizzare questo strumento per intercettare e controllare giornalisti o politici, se non per particolari e gravissime tipologie di reato (ci sentiamo di escludere che il nostro direttore sia un terrorista o un trafficante di livello internazionale); ma lo spionaggio c'è stato comunque, lo ha reso noto META, lo hanno verificato analisti indipendenti e lo ha implicitamente confermato Palazzo Chigi.
E se escludiamo che sia stata una nazione straniera, come pure grottescamente ha insinuato qualche collega, allora la questione si fa davvero enorme. Tanto più che l'opposizione incalza, dalla UE chiedono spiegazioni, l'azienda produttrice di Graphite minaccia di stracciare il contratto, i giornali stranieri continuano a scavare, l'interesse pubblico sulla vicenda comincia a essere rilevante.
Così, ecco il cambio di strategia: provare a insabbiare l'intera questione, fornendo spiegazioni su un aspetto marginale e dando l'impressione di un "vero" impegno per chiarire il resto. Certo, bisognava sacrificare qualcuno e ammettere di aver omesso qualcosina, ma era necessario provare a tappare la falla prima che la barca affondi definitivamente.
Parte l'operazione Sanremo: il venerdì sera, nel pieno della kermesse canora, Palazzo Chigi diffonde una breve nota, per comunicare di aver deciso, "in accordo" con l'azienda Paragon Solutions, di sospendere l'operatività dello spyware Graphite, "fino alla conclusione della procedura di due diligence condotta dal Copasir e dall'Agenzia nazionale per la cybersicurezza". Letta così, sembra essere una decisione di buonsenso, importante per fare chiarezza e per garantire al fornitore del servizio e agli italiani l’utilizzo corretto di uno spyware potentissimo. Il sottotesto, poi, è chiaro: siamo al lavoro per capire cosa è successo e dopo le analisi tecniche tutto tornerà come prima, senza alcun contraccolpo per l’operatività delle nostre forze di intelligence e di polizia. Ci sarà la due diligence, poi toccherà aspettare la magistratura, passeranno settimane. Nel frattempo, state tranquilli, questa vicenda potete serenamente metterla in stand-by.
Un bel tentativo, niente da dire. Che sia stato fatto mentre gran parte degli italiani era distratta dalla serata cover del Festival di Sanremo gli regala poi quell’aura romantica, un omaggio ai bei tempi andati in cui si portavano i dossier più spinosi in Consiglio dei ministri a Ferragosto. Il giorno successivo, quindi, i giornali si allineano su questa posizione: un contratto sospeso di comune accordo, pieno interesse delle istituzioni a cooperare e far luce sulla vicenda, nessun allarme democratico, solo qualche preoccupazione per possibili interferenze esterne o regolamenti di conti di poca rilevanza.
L’unico problema è che le cose non stanno affatto così e che non basta un comunicato concordato (fatto per evidenti ragioni di reciproco interesse fra le parti) per far luce su una vicenda piuttosto oscura. In primo luogo, va capito il motivo per cui il ministro Ciriani si sia recato in Parlamento a dire una cosa non vera, o almeno largamente imprecisa. Solo 48 ore prima del lancio dell’operazione Sanremo, come vi ricordavamo, il ministro dei Rapporti col Parlamento aveva seccamente negato che vi fossero problemi nell’operatività di Graphite, smentendo i giornali stranieri che avevano ipotizzato contestazioni da parte dell’azienda di fondazione israeliana. Parliamo di contratti da decine di milioni di euro, con centinaia di pagine di penali e specifiche di utilizzo, che non si sospendono da un momento all’altro. Possibile che Ciriani non sapesse delle lamentele di Paragon e delle trattative in corso per evitare la rottura unilaterale del contratto e uno smacco clamoroso per il nostro governo? Possibile che fosse oscuro a chi era stato mandato in Parlamento per rispondere ufficialmente per nome e per conto del governo ciò che persino le nostre fonti ci confermavano, ovvero le intenzioni dell’azienda di chiedere lumi sull’utilizzo indebito di Graphite? Possibile che i ragionamenti sull’opportunità di sospendere o meno un contratto milionario siano cominciati nella giornata di giovedì e finiti poco prima che Giorgia e Annalisa cantassero la cover di Adele? E cosa accadrà quando (non se, ma quando) il governo dovrà ammettere di aver violato gli accordi con Paragon?
C’è poi un’altra questione sollevata dall’operazione Sanremo. Come noto, sono due gli account (stiamo semplificando) abilitati a usare lo spyware: uno in dotazione ai servizi segreti, l’altro a chi fa operazioni di “law enforcement” (forze di polizia giudiziaria, su incarico della magistratura). Se Ciriani e Mantovano, il primo addirittura minacciando querele, hanno garantito sulla non responsabilità delle agenzie di intelligence e, contemporaneamente, il governo sospende un contratto per verifiche tecniche, allora implicitamente ci stanno dicendo che la responsabilità dell’uso scorretto dello spyware è da ricercarsi “nell’altro accesso”. Ovvero, come giustamente sottolineato tra gli altri da Matteo Renzi, che lo spionaggio viene da una di queste quattro forze: Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Penitenziaria. È un'ipotesi tremenda, perché, dal momento che nessun magistrato ha la facoltà di chiedere che sia controllato un giornalista, presupporrebbe che qualcuno, che opera in uno dei corpi di polizia giudiziaria dello Stato, abbia agito in modo autonomo, prendendo in prestito una tecnologia militare per controllare un direttore di giornale, al di fuori delle possibilità consentite dalla legge.
Il segreto di Stato su Paragon
Uno scenario talmente clamoroso che ha agitato immediatamente i vertici delle quattro forze di polizia giudiziaria. Tanto che sono cominciate ad arrivare smentite e prese di distanza, in modo più o meno ufficiale. Di certo, negli ultimi giorni l’attenzione si è spostata sulla polizia penitenziaria, che in linea teorica dovrebbe effettivamente avere la possibilità di utilizzare lo spyware di Paragon. Sempre Matteo Renzi ha presentato un’interrogazione al ministro Nordio in cui si chiede di conoscere anche “se risulti veritiero che il GOM utilizzi una propria struttura di intercettazione e quante persone compongano l’ufficio incaricato di seguire le intercettazioni per la polizia penitenziaria e quante risorse economiche siano state utilizzate dalla stessa per gli strumenti di intercettazione negli ultimi tre anni”. Il problema è che da Palazzo Chigi hanno fatto sapere di non voler rispondere su questo aspetto, negandosi dunque alle richieste dell'opposizione parlamentare (anche il Pd ha presentato un'interrogazione sul ruolo della penitenziaria). Un fatto inusitato, che lascia intendere non vi sia la volontà o la possibilità di chiarire il ruolo della Penitenziaria in questa storia.
A quanto si è poi appreso, a decidere di far saltare la domanda sulla Penitenziaria è stato il presidente della Camera dei deputati Lorenzo Fontana, che ha spiegato di aver ricevuto una lettera dal sottosegretario Mantovano, secondo cui ogni informazione divulgabile sarebbe stata fornita dal ministro Ciriani. Dunque, tutto il resto resterebbe riservato, coperto da segreto. Una posizione piuttosto singolare, dal momento che il governo non aveva posto il segreto sulle domande sul ruolo dei servizi e lo sta facendo ora, quando si va a indagare sulla Penitenziaria? Cosa non ci stanno dicendo? Cosa non dovremmo sapere?
Parallelamente, a seguito della denuncia querela presentata dal direttore di Fanpage.it, si sta muovendo la Polizia Postale, che proverà a rintracciare elementi utili a ricostruire la matrice dell'intrusione. Un'operazione necessaria, evidentemente, per capire eventuali contraccolpi giudiziari di una vicenda che al momento è soprattutto politica. Perché, come vi abbiamo spiegato, è assodato che chiunque e per qualunque ragione abbia effettuato lo spionaggio ai danni di Cancellato si sia mosso oltre i limiti consentiti dalla legge (e dal contratto siglato con Paragon). E dovrebbe essere interesse primario del nostro governo far luce su una vicenda di questo tipo. Altro che tentare di insabbiarla.