Operazione Italia-Albania, Pd: “Marina Militare non può fare le visite mediche sui migranti al posto dell’OIM”
Le operazioni di salvataggio e accoglienza delle persone migranti continuano a sollevare interrogativi sulla gestione delle frontiere in Europa, mentre il governo italiano accelera le sue trattative con il governo albanese per gestire il flusso migratorio. Questa mattina, la nave Cassiopea della Marina Militare italiana è arrivata al porto di Shengjin, in Albania, con a bordo 49 persone migranti provenienti da Paesi come Bangladesh, Gambia, Costa d’Avorio ed Egitto. Per cinque di loro, quattro minori e una persona vulnerabile, tuttavia la destinazione finale non sarà l’Albania, ma l’Italia, già a partire da questa sera, diretti verso Brindisi.
Il governo italiano non intende arrendersi alla situazione che si è venuta a creare nei mesi precedenti, quando due tentativi di accordo con Tirana sono stati bloccati dai giudici per il contrasto con le normative europee sulla definizione dei cosiddetti "Paesi sicuri". La terza operazione, che oggi ha portato alla sbarco dei migranti, mira a riproporre la stessa strategia, ma con una serie di criticità ancora aperte.
"I numeri sono cambiati rispetto a quelli iniziali", commenta la deputata Rachele Scarpa (Partito Democratico) a Fanpage.it, "in principio, si parlava del ritorno in Italia di un solo minore, ma ora la situazione è diversa. In totale, per ora, otto egiziani e trentasei bengalesi saranno trasferiti a Gjader, mentre cinque di loro torneranno in Italia".
Visite mediche effettuate dalla Marina Militare e non da OIM
Il primo giorno di accoglienza è sempre caotico, spiega Scarpa, "caratterizzato dalla frenesia delle operazioni di identificazione e screening sanitario".
La deputata dem si trova all'esterno dell'hotspot di Shengjin in Albania, dove si stanno concludendo le operazioni di identificazione e di screening medico delle 49 persone migranti: "Non abbiamo avuto ancora accesso diretto ai migranti e non abbiamo quindi ancora potuto parlare con loro. Abbiamo soltanto posto domande sui momenti più critici di questa operazione. Non tanto a Shengjin, che sta procedendo in maniera simile alle operazioni precedenti, quanto alla selezione fatta sulla nave".
Una delle criticità più evidenti riguarda proprio la fase di selezione a bordo della Cassiopea: secondo la deputata "continua a esserci un problema sistemico a livello di protocollo Italia-Albania. In particolare, manca l’intervento dell’OIM, l’Agenzia delle Nazioni Unite per le migrazioni, che dovrebbe occuparsi di valutare le condizioni di vulnerabilità. In questa occasione, le visite mediche sono state effettuate invece dal personale della Marina Militare".
L’esito di queste visite mediche, può sembrare poco trasparente, da un lato perché la Marina Militare non si occupa in Italia di persone con storia di migrazione, dall'altro perché ci dovrebbe essere terzietà rispetto al governo. In aggiunta anche perché non si può escludere che le persone individuate come "non idonee" a essere trattenute siano state in numero nettamente inferiore rispetto alle volte precedenti.
"Continueremo a monitorare la situazione, come deputati del Partito Democratico", ha affermato Scarpa, "è essenziale che venga garantita una presenza fisica costante. Vogliamo lanciare un messaggio importante e critico contro questa politica di esternalizzazione delle frontiere. Non solo non funziona, perché non diminuisce i flussi migratori, ma ha un costo molto più elevato rispetto all’accoglienza diretta, che crea solo sofferenza e stress aggiuntivi per persone che già hanno vissuto viaggi dolorosi e, probabilmente, hanno anche attraversato i centri di tortura in Libia".
Cosa sono le politiche di esternalizzazione delle frontiere
Le politiche di esternalizzazione delle frontiere si riferiscono a strategie adottate da paesi o blocchi regionali, come l’Unione Europea, per spostare il controllo e la gestione dei flussi migratori al di fuori dei propri confini nazionali. In pratica, queste politiche mirano a fermare o limitare l'ingresso di migranti prima che raggiungano le frontiere di un paese, delegando il compito di sorveglianza, identificazione e gestione dei rifugiati o migranti a stati terzi, spesso situati nelle regioni di transito o nei paesi di origine. L'obiettivo principale è quello di ridurre il numero di persone migranti che arrivano direttamente alle frontiere di un paese, ridurre la pressione sulle infrastrutture interne e limitare i rischi legati all'immigrazione irregolare. Questo processo può includere la creazione di centri di detenzione in paesi terzi, la cooperazione con stati non appartenenti all’Unione Europea per rafforzare i controlli alle frontiere, e la fornitura di aiuti finanziari o accordi bilaterali che incentivano i paesi di transito a fermare i flussi migratori. Politiche che però sollevano questioni più ampie di diritti umani: spesso, i migranti finiscono infatti per essere trattati in condizioni cosiddette di vulnerabilità in paesi che potrebbero non avere le risorse o la volontà di garantire loro adeguate tutele legali e sociali.
L’esternalizzazione delle frontiere può portare anche alla creazione di "zone grigie" in cui i diritti fondamentali degli individui sono compromessi, rendendo difficile l’accesso a procedure di asilo e protezione internazionale.
Cosa succederà ora
Il futuro dell'operazione Italia-Albania dipenderà dal pronunciamento della Corte di Giustizia Europea, che si esprimerà il 25 febbraio, con l'obiettivo di fare chiarezza sulle questioni legate alla legittimità dei trattenimenti. Nel frattempo, il governo italiano ha già deciso di riformare il processo di valutazione dei "Paesi sicuri", sottraendo la competenza ai tribunali di Immigrazione e assegnandola alle Corti d’Appello. Dunque la domanda resta aperta: i giudici convalideranno o meno i trattenimenti? La risposta potrebbe arrivare presto, ma al momento la situazione rimane incerta, con sempre più persone migranti che continuano a subire l’incertezza di un futuro sospeso.